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CULTURA - page 144

La cultura italiana in tutte le sue forme dalla letteratura al cinema, dalla scultura al teatro

Islanda, la sorella della luna: un viaggio unico tra terra, cielo, acqua e fuoco

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Prima parte: la penisola di Reykjanes e la capitale Reykjavik

Un viaggio in Islanda è l’alternativa terrestre per chi è alla ricerca di atmosfere lunari. I suoi paesaggi surreali risultano insoliti, soprattutto per la nostra consuetudine mediterranea. Una sinfonia di elementi naturali che la rendono molto più di un viaggio ma un’esperienza personale, un richiamo primordiale del creato. Una destinazione per gli amanti della natura e delle basse temperature, l’ideale per un’estate alternativa.

Il primo approccio alla diversità di questo paese si avverte appena si atterra: l’aria frizzante e l’escursione termica di venti gradi tra Roma-Keflavìk (capoluogo dello scalo aeroportuale e principale città sulla penisola di Reykjanes) è solo il primo assaggio. Quest’isola non è una meta per turisti inconsapevoli, sceglierla implica una buona informazione pre partenza, eppure la sensazione di stupore innanzi alle lande desolate che circondano l’aeroporto assale tutti, anche l’escursionista più devoto. Chiunque arrivi in Islanda per la prima volta si domanda cosa abbia motivato questo viaggio. Ma la prima impressione è spesso una sintesi imperfetta e l’entusiasmo cresce con la voglia di scoperta.

Strade sterrate nella penisola di Reykjanes

Un lungo percorso attende il suo inizio, in questa prima parte scopriremo qualche meta imperdibile nella parte sud ovest dell’isola, da raggiungere con un’auto a noleggio (meglio se 4×4), la scelta migliore per un viaggio itinerante: l’Islanda è “on the road”, lungo la Hringvegur, la strada principale ad anello che percorre il periplo del paese.

Partenza: la penisola di Reykjanes

Il punto di partenza per molti viaggiatori è la penisola di Reykjanes grazie alla sua vicinanza all’aeroporto. Un’area costellata di campi di rocce laviche e sprazzi di erba verde senza alberi, un’apparenza omogenea e ripetitiva ma che mimetizza la stupefacente storia geologica della Terra. Proprio in quest’area corre la frattura tra la placca continentale europea e quella nord americana. Vale una visita al ponticello di Leif, il “Lucky Bridge”, situato all’incontro ben visibile delle due placche. Anonimo all’aspetto, simbolico nella sua ragion d’essere: pochi metri di lunghezza uniscono il continente americano a quello europeo.

Il “Lucky Bridge” collega la placca europea e quella nord americana

La strada principale e le secondarie lungo la penisola rincorrono un paesaggio apparentemente ripetitivo e malinconico ma che rivela inaspettatamente bellezze arcaiche. Manciate di geyser inquieti e sbuffi dal profondo della terra rianimano gli spazi, fenomeni naturali che creano un’atmosfera dantesca. Imperdibile l’area geotermale di Gunnuhver dove la terra ribolle inquieta ed esala un pregnante odore di zolfo. Un luogo surreale da osservare con attenzione: seguite solo i percorsi indicati e la passerella che conduce ad un punto panoramico del sito, vi sembrerà di giungere all’uscio di Mefisto.

Non mancano le piscine termali che sfruttano l’energia geotermica della zona per rilassarsi e ritemprarsi in un ozioso bagno caldo dalle proprietà benefiche. La Blue Lagoon, è il centro termale più noto di tutta l’Islanda e si trova a Raykjavik. Per trovare un po’di relax alternativo e meno inflazionato, l’alternativa al costume è una passeggiata lungo le coste della penisola disseminate da piccoli villaggi di pescatori dove il tempo sembra essersi fermato. Questi piccoli centri non sono votati al turismo e trovare un semplice caffè sembra un’impresa epica, il consiglio è quello di godere della loro semplicità e consolarvi con l’aria frizzante dell’oceano, ritempra più della caffeina. Vale una sosta Grindavik, piccolo villaggio di pescatori. I ristoranti sono centellinati ma ne vale la ricerca, il menù è a base di pesce freschissimo.

Il faro di Grindavik

Reykjavik, la capitale

La chiesa Hallgrimsskirkja, Reykjavik

Reykjavik, geolocalizzata al 64° parallelo nord vanta il titolo di capitale di stato più a nord del mondo. Città ordinata e accogliente, vivace e moderna, a misura d’uomo e lontana dalla concezione tipica di grande capitale europea. Una realtà dalla vita tranquilla, perfettamente inserita in un’isola dove la natura fa da protagonista. Per ammirare le attrattive principali si inizia con una passeggiata nel quartiere vecchio della città per lasciare spazio all’ identità modernista nella parte nuova, fiore all’occhiello di Reykjavik. La Hallgrímskirkja, la chiesa principale in cemento armato, ripropone le forme di una colata lavica dallo spiccato estro nazionalista che omaggia la natura. L’Harpa, centro congressi e sala concerti è nota in tutto il mondo per la struttura leggera delineata da un elegante gioco di vetri concavi e convessi che proiettano lo spettatore in un luogo dalle parvenze aliene.

Il centro congressi Harpa, Reykjavik
Hakarl, piatto tipico islandese

Anche a Reykjavik i viaggiatori più golosi vengono ripagati da lauti banchetti dove il pesce è il protagonista indiscusso dei menù. Non bisogna però dimenticare che il viaggio di scoperta include anche il classico vezzo da turista: la prova del piatto locale. Quella islandese è una bella sfida per il palato. Si tratta dell’Hakarl, rinomata portata di carne di squalo macerata per sei mesi sotto terra. A parte questa specialità che per gran parte dei forestieri si rivela una prova più dura del previsto, sorprendono zuppe gustose e pesce freschissimo che svelano una inaspettata cucina succulenta.

La prossima settimana scopriremo l’Islanda del nord ovest, del nord e la parte sud avventurandoci alle pendici del Vatnajökull, il ghiacciaio più grande d’Europa. 

Photo credits: Elena Bittante

Il punto panoramico più alto del mondo: “At the top” del Burj Khalifa, il grattacielo dei record fiore del deserto

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L’icona di Dubai è nota per essere il grattacielo più alto del mondo, un edificio dalle dimensioni surreali a confronto dei giganti che s’innalzano nella giungla metropolitana di questo avveniristico angolo degli Emirati Arabi Uniti. Stiamo parlando del Burj Khalifa, il re indiscusso dell’edilizia moderna in tutto il mondo.

Un’entità materiale dall’indiscutibile opulenza ostentata, consuetudine di questa città in divenire, eppure alla sua vista viene meno il pregiudizio: il Burj Khalifa è un gioiello della tecnica ingegneristica che testimonia il progresso dell’uomo. Indimenticabile la prima volta che appare nello skyline all’orizzonte, stupefacente quando ci troviamo ai suoi piedi con il naso all’insù mentre perdiamo le sue proporzioni ostinati nella ricerca della cima.

Il Burj Khalifa: il progetto e qualche numero

Il Burj Khalifa è un progetto dello Studio Skidmore, Owings & Merrill LLP (SOM) con Adrian Smith FAIA. L’edificio misura 828 metri di altezza e conta 160 piani. Si distingue per le sue eleganti geometrie cartesiane in vetro e acciaio all’esterno e per i solidi muri e corridoi in calcestruzzo armato all’interno, studiati per sopportare i carichi di gravità e quelli laterali. Un gigante dalla struttura armonica che svetta con grazia verso il cielo per omaggio e necessità: le sue forme si ispirano al leggiadro Hymenocallis, il fiore tradizionale del deserto, e le differenti altezze della torre che lo delineano con eleganza sono una strategia per rompere il flusso omogeneo del vento. La costruzione iniziò nel gennaio 2004 per essere inaugurata nel gennaio del 2010. 2.194 giorni di lavoro giorno e notte, 13.000 lavoratori tra operai e tecnici di oltre 100 nazionalità diverse. Cifre da capogiro per un edificio dei record. Il suo interno è una vera e propria città verticale e ospita uffici, appartamenti residenziali e l’elegante Armani Hotel per soggiorni da mille e una notte in chiave moderna.

La visita panoramica del Burj Khalifa

At the Top, vista dal 148° piano

Surreale dal basso, mozzafiato dall’alto. Vale il costo del biglietto una visita ai piani alti del grattacielo. L’entrata alla torre prevede due piattaforme di osservazione: il 124° piano dove si trova la prima terrazza panoramica a 456 metri da terra e il 148° piano (At the Top, Burj Khalifa SKY) a 555 metri da terra. Queste altezze da capogiro sono raggiungibili in pochi secondi grazie ad ascensori a due piani che viaggiano a 10 m al secondo. La seconda piattaforma è il punto di osservazione su torre più alto al mondo e regala una perfetta visuale a 360 gradi su Dubai: spiccano il Burj Al Arab, il complesso residenziale The World e la Sheikh Zayed Road per poi confondere lo sguardo sulla giungla di cemento vasta e amorfa dei “piccoli” grattacieli di contorno, sui grovigli ordinati delle superstrade per finire verso le lande desolate del deserto all’orizzonte.

 Sheikh Zayed Road

E’ possibile acquistare il biglietto d’ingresso on-line o al piano terra della struttura, la visita dura 90 minuti. Per il 124° piano il costo è di 125 AED (circa €30). Per il 148° piano (con il quale potrai visitare anche il 125°) il costo è di AED 300 (circa €74).

Espansione urbanistica verso il deserto 

Una visita alla torre è una sensazione appagante, gioca con l’emozione dell’altezza straordinaria ed evoca la suggestione di toccare il cielo con un dito. Infine osservare dall’alto il panorama può rivelarsi anche uno spunto di riflessione per comprendere l’ambizione dell’uomo: la conquista del deserto, un’espansione verso il “nulla”. La vista che si scorge dall’alto della torre è una considerazione tangibile degli interessi verso un territorio solo all’apparenza privo di potenzialità.

Come raggiungere Dubai

Per volare a Dubai esistono diverse alternative, è possibile scegliere tra tutte le compagnie aeree di bandiera europee e mediorientali. Da Roma sono poco più di 5 ore di volo diretto con atterraggio all’aeroporto internazionale di Dubai. In alternativa è possibile atterrare ad Abu Dhabi: i due aeroporti distano poco più di 100 chilometri ed è possibile raggiungere Dubai con un’auto a noleggio, in taxi (anche se i prezzi sono piuttosto alti per la distanza) o con gli autobus di linea che collegano le due città. La terza opzione è l’aeroporto di Sharjah, il centro cittadino che rappresenta il prolungamento Nord di Dubai, a poco più di 15 km dal quartiere di Deira.

Photo credits: Elena Bittante

Porvoo: la pittoresca cittadina della Finlandia, quintessenza di un passato mercantile

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Porvooo Borgå in svedese, è la seconda città più antica della Finlandia, famosa per le sue case rosse affacciate sul fiume Porvoonjoki. Un luogo dove il profumo del legno delle abitazioni centenarie si confonde con quello vivido della foresta poco distante. Un centro dal passato commerciale oggi votato al turismo per i viaggiatori interessati alla storia e alla tranquillità.

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Roma, il fiume Tevere una risorsa da tutelare e proteggere, questa la missione di Amici del Tevere

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Roma nasce sulle sponde del Tevere, una storia millenaria conosciuta in tutto il mondo, attraverso il fiume la città ha ricevuto nei secoli tutto quello di cui aveva bisogno, ha agevolato il commercio e fornito l’acqua per i suoi cittadini.

Ma con il tempo il rapporto tra il fiume è i romani si è incrinato, lo sviluppo della città moderna ha danneggiato le sue sponde, la sua purezza è scomparsa e il degrado è avanzato, le amministrazioni che si sono susseguite hanno dato priorità ad altre azioni sul territorio lasciando il fiume, le sue sponde e le sue acque ad un destino che può sembrare ineluttabile.

Chi per primo si è accorto di questa situazione e delle possibili conseguenze è stata l’Associazione Amici del Tevere, che dal 2008 si occupa di sensibilizzare, informare e coinvolgere i cittadini in iniziative culturali tese a far conoscere il fiume e la sua importanza.

Il Dottor Amendola è il presidente di questa Associazione e a lui ci siamo rivolti per capire meglio qual’è lo stato di salute del fiume e quali sono i  doveri e i progetti che le istituzioni devono assumere e realizzare.

L’Associazione Amici del Tevere, come ha detto, si occupa di sensibilizzazione, informazione  e coinvolgimento dei cittadini in iniziative culturali tese a far conoscere meglio il territorio del fiume e il suo impatto sulla vita di tutti” esordisce il Presidente Amendola – “Successivamente, nel 2010, è stato fondato il Consorzio Tiberina, che include diversi soggetti pubblici e privati tra cui le quattro Università Statali di Roma, il Consorzio di Bonifica Tevere e Agro Romano, fondazioni, onlus, imprese, associazioni, fra cui naturalmente moltissimi Concessionari di sponde e specchi d’acqua, e che si occupa di promuovere e realizzare progetti per lo sviluppo sostenibile del Tevere”.

Il Consorzio Tiberina è ente più operativo, nato con l’obiettivo di promuovere azioni che possano riportare il Tevere, le sue sponde e tutto il suo territorio ad un livello degno della Capitale italiana e più in generale di una delle Città più famose al mondo.

Sono tante le attività che si svolgono sulle rive del fiume, sono regolate in parte dalla Regione Lazio e in parte, con delega della stessa o per Norme parallele, dai Comuni e dai Municipi che attraversa.

Per quanto riguarda il tratto da Castel Giubileo alla foce – ci racconta il dottor Amendola – esiste il Piano Stralcio 5 o “PS5” (*), che indica esattamente cosa si può fare e dove, ovvero quali sono le aree con destinazioni ludico-ricreative, sportive, a parco, per approdi o per altro, e anche come possono essere concesse in uso. Uno strumento di pianificazione che prevede da molti anni, pur se ancora inattuata, l’istituzione del Parco Fluviale del Tevere, quale importante strumento di tutela.”

Naturalmente la domanda più importante riguarda la condizione del fiume che, come tanto del territorio laziale, soffre di mancata manutenzione e preservazione ed è ferito dall’inciviltà di molti che abusano del territorio deturpandolo con discariche a cielo aperto e scarichi illegali.

Nonostante questo però lo stato di salute delle acque sembra migliorare.

Rispetto ad anni bui del passato dove era assente o minimo il controllo delle acque reflue, la situazione sta migliorando negli anni recenti grazie anche all’intervento degli enti competenti, compresa ACEA ATO 2, che proprio recentemente, dopo tanto lavoro comune di individuazione delle priorità, firmando il così detto “Contratto di Fiume” promosso da Associazione Amici del Tevere e Consorzio Tiberina insieme ai Municipi I° e II° (**) ha definitivamente indicato e messo in spesa 23 milioni per l’eliminazione degli scarichi fognari non a norma attivi sul territorio del Comune di Roma e recapitanti al Tevere a monte di Ponte Milvio” – ci informa Amendola – “Questo intervento permetterà il miglioramento della qualità delle acque che attraversano la città verso la foce e di conseguenza di tutto l’ecosistema del fiume

Ma qual è il futuro del Tevere? Quali sono i progetti di riqualificazione del fiume? Sono le domande che più frequentemente i cittadini più attenti si pongono.

Se si lavora in tanti, positivamente e all’interno delle pianificazioni, non si può che migliorare la situazione. Con il “Contratto di Fiume” che ho citato, sottoscritto da sempre nuovi Contraenti, già vari progetti di grande qualità sono stati avviati, secondo passaggi ben precisi di progettazione e autorizzazione; il Consorzio Tiberina ha anche effettuato dei sondaggi on-line, con risposte di migliaia di cittadini, per ottimizzare le soluzioni. – risponde il Presidente Amendola – Vi è però un rischio, in cui secondo me sta incorrendo Roma Capitale: la politica degli annunci e il fare tanto per fare. Se mi chiede se il futuro auspicabile per il Tevere è sullo stampo della pseudo-spiaggia o pseudo-area sportiva in allestimento a Ponte Marconi, le rispondo: non è questo, non è assolutamente questo! Non c’era bisogno di ciò per far vedere che si possono attrezzare aree sul Tevere: ne è piena Roma. 10.000 mq, numero enfatizzato negli annunci, è un rettangolo di terra da nulla, potevano esprimerlo in centimetri quadri, che sarebbero stati 100.000.000. Questa sarà, da quel che si vede a lavori in corso, un’orrida spianata, con chioschi e bagni chimici, che per fortuna slitta nella sua inaugurazione a giornate meno torride; sarebbe ben difficile trovarvi un po’ di refrigerio. Fra l’altro, se l’area fosse naturalisticamente rilevante, la spianata sarebbe di grande impatto, mentre come affaccio non aggiunge nulla a ciò che già si vede da Ponte Marconi: cioè quest’area è una contraddizione nei termini. Non ha nulla di caratteristico rispetto al Tevere, potrebbe essere in qualunque altro luogo di Roma, è quasi offensiva verso chi conosce e ama il Tevere che era in passato e che ragiona su un Tevere che – si spera – potrà essere. Direi che sono state buttate a fiume decine di migliaia di euro, e pare si supererà ampiamente il centinaio. Forse il problema risiede nell’aver ridotto l’impegno attuale di Roma Capitale allo slogan di un Ufficio Speciale Tevere che non esiste e alla faciloneria nell’affrontare un tema così complesso e interdisciplinare, senza interpellare chi se ne occupa da decenni e ne sa veramente: non è di certo lavoro da burocrati o da parolai o da persone accostatesi al fiume da un paio d’anni. Al che, e mi scusi lo sfogo, si rischia di fare l’esatto contrario, cioè di dare l’idea che non si può far nulla per il Tevere a Roma, riallontanando i tanti avvicinatisi con interesse, a volte entusiasmo, al tema”

Si può aggiungere che chi calpesterà le tonnellate di sabbia che sono state depositate nella suddetta spianata  a ridosso di Ponte Marconi, nell’VIII Municipio, non potrà comunque beneficiare di una inesistente balneabilità del fiume; per cui l’area, anche se attrezzata con ombrelloni e sdraio, bagni chimici e docce, non potrà certo essere messa al confronto né con le più famose spiagge fluviali europee né tantomeno con i più vicini stabilimenti balneari del litorale roman0 o con le spiagge libere: una iniziativa quindi destinata al fallimento.

La Regione Lazio invece ha nel contempo avviato lo stanziamento di fondi per la sicurezza soprattutto idraulica delle sponde, un intervento utile, ma che forse dovrebbe essere più sostanzioso e mirato anche al controllo della legalità su tutto il suo corso.

Sul tema della legalità l’Associazione Amici del Tevere è sempre stata molto combattiva “Il territorio del Tevere è molto significativo e anche simbolico per la città – ci racconta il Presidente Amendola – e deve essere tutelato, riqualificato e riportato tutto nella legalità anche per dare modo agli investitori privati di presentare progetti di livello a beneficio dei cittadini. Se veniamo all’oggi, molti degli eventi che vengono organizzati sulle sponde del Tevere nella stagione estiva portano, grazie all’esperienza pluriennale degli operatori, pulizia, accessibilità per tutte le età e tutti i gusti, in uno scenario unico, che attira moltissimi turisti, in sicurezza, con adeguata infrastrutturazione e autorizzazioni ovviamente anche delle competenti Soprintendenze. Ma proprio quest’anno, non si sa perché, hanno fatto la loro comparsa discoteche a fiume, chioschi delle fattezze più varie, ombrelloni da bar di fronte a Castel Sant’Angelo sulla sponda sinistra, improbabili approdi per battelli e una serie di situazioni che destano perplessità”

Una situazione che crea molto spesso disagi per la convivenza delle stesse realizzazioni con le norme di sicurezza e tutela ambientale, oltre che ai cittadini sul frequentano il Tevere.

E’ un problema comunque non soltanto estivo: pontili che nascono dal nulla, battelli che ormeggiano ovunque, galleggianti fatiscenti palesemente insicuri o tanti altri comunque non verificati (ricordiamo i disormeggi di qualche anno fa), ristorazione abusiva, banchine fatte usare come parcheggi da ristoratori (è vietato), e chi più ne ha più ne metta. Fra illegalità e pseudo-spiagge velleitarie, parlare di riqualificazione strutturale e sistemica è quantomeno risibile. Va bene il volontariato, come quello dei tanti che si impegnano nei due Soggetti no-profit che rappresento, ma anche la politica dovrebbe fare la sua parte, come sempre, nella regolazione delle cose e nella selezione delle istanze espresse dai cittadini. Molto si sta muovendo, ma è facile vanificare tutto se ci si ferma agli slogan e alle presenze sui media, che possono essere un mezzo, come lo stesso “Contratto di Fiume”, e non un fine, almeno per chi punta ai risultati concreti. Sembra a volte, anche su questo tema così particolare del Tevere, che prevalga la ricerca di visibilità, magari inondando facebook di primi piani, come proclamazioni di avvento: la partecipazione civica, essenziale, di cui molto si parla, è ben altra cosa del culto della propria personalità di sedicenti protagonisti di cambiamento. Certo, risolvere la questione del Tevere a Roma sarebbe un ottimo biglietto da visita …… ma va prima risolta! E’ anche per questo che, con l’Associazione, ci siamo intitolati Amici del Tevere: già lo eravamo, e sul serio”.

Tutto questo si aggiunge ad una manutenzione ordinaria che è totalmente assente e che aggrava la situazione lungo l’argine utilizzabile, in estate e non solo, che diventa anche ricettacolo di animali di tutti i tipi con condizioni igieniche generali molto critiche.

Poniamo al presidente Amendola un ultima domanda, c’è speranza per una nuova balneabilità?

Certamente sì, in prospettiva. Ma non bisogna fissarsi con singoli aspetti, si possono condurre molteplici azioni in parallelo, da quella sulla qualità delle acque a molte altre, come abbiamo indicato nel “Contratto di Fiume”. Dato che siamo in uno stato di diritto, e anche per i progetti più mirabolanti non si possono espropriare i Concessionari, stiamo man mano federando questi ultimi e coinvolgendo gli Enti territoriali per colmare i buchi, per così dire, lavorando tutti insieme verso obiettivi di miglioramento continuo. Con i Concessionari più avveduti ci stiamo già riuscendo. Ovviamente ci si rivolge, con molta umiltà, a tutti gli operatori seri. Ci sarà spazio per tutti. La vicenda Kentridge di qualche anno fa ha dimostrato un grande provincialismo, a mio avviso, nel non promuovere la possibilità di una compresenza di vari aspetti di fruizione sul Tevere, danneggiando chi aveva dei diritti acquisiti, e, pur nell’apprezzamento per il grande artista, non sottolineando che qui aveva trovato una grande tela e un museo a cielo aperto unici al mondo. Oggi la così detta “piazza Tevere” mette un po’ tristezza, e forse il senso dell’effimero insito nel graffito prefigurava già nella visione dell’artista questo scenario, come nelle scene finali de “La grande bellezza”. Proprio per uscire dal provincialismo e riappropriarci del nostro retaggio, vorrei ricordare delle banalità storiche, cioè che Roma è nata sul Tevere e che siamo a 2 anni e mezzo dal Centocinquantenario, nel Febbraio 2021, della sua proclamazione a Capitale d’Italia: potrebbe essere un bel simbolo di rinascita il ripartire dal Tevere”

Speriamo dunque di vedere in un prossimo futuro il biondo Tevere divenire ancora più pulito insieme ad una rinascita di tutto l’ecosistema ad esso collegato, di tornare ad essere un biglietto da visita della nostra città che ogni anno ospita più di 26 milioni di turisti oltre naturalmente ai suoi 4 milioni di abitanti nell’area allargata della cosiddetta Città Metropolitana

(*) http://www.abtevere.it/node/104

(**) https://www.comune.roma.it/web/it/municipio-i-progetti.page?contentId=PRG134159

Diritto all’oblio e diritto di cronaca

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Chissà se il termine Cloudche nel linguaggio informatico indica l’insieme di dati archiviati, sia stato scelto casualmente o, più verosimilmente, trovi la sua origine nella similitudine proprio con le nuvole che, muovendosi liberamente nel cielo grazie alle correnti ascensionali, raccolgono l’acqua che torna sulla terra in forma di pioggia, neve, ghiaccio, magari accompagnata da tuoni e fulmini.

Allo stesso modo in cui le nuvole raccolgono acqua da fiumi, laghi e mari, i cloud computing, raccolgono dati dal mare di internet. Come le nuvole i cloud informatici sono impalpabili, addirittura invisibili e vi può accedere teoricamente solo colui che li ha creati. Perché il Cloud oggi è un sistema di archiviazione a disposizione di chiunque voglia conservare tutti i propri dati mettendoli al sicuro per non intasare la memoria del proprio computer.

Esistono anche cloud che si formano, proprio come le nuvole, spontaneamente; raccolgono dalla rete web dati casuali ma legati da comuni fili conduttori e, al momento che vengono in contatto con l’equivalente delle correnti fredde che dalle nuvole fanno cadere la pioggia, i cloud riversano tutte le informazioni raccolte sugli utenti di internet e non solo.

Ogni dato messo in rete resta nella disponibilità di chiunque fino a quando non viene rimosso ed è così facile accedere ad informazioni che il diretto interessato vorrebbe fossero cancellate ed essere completamente dimenticato, trovando applicazione il Diritto all’Oblio.

Il nuovo Regolamento Europeo in materia di Trattamento Dati Personali (GDPR) ha espressamente previsto questo diritto limitandolo ovviamente al solo Trattamento Dati Personali, e quindi usando impropriamente il termine oblio, che riguarda ben altre fattispecie, ma operando anche un preciso richiamo, che, infatti, sembra essere fuori dal coro rispetto alla specificità della norma. L’articolo 17 comma 3 GDPR esclude la cancellazione dei dati personali da server e archivi, di qualsiasi tipo, in alcune ipotesi che inducono a riportare la norma nella sua integrità:

  1. perl’eserciziodeldirittoallalibertàdiespressioneediinformazione;
  2. per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppurenell’eserciziodipubblicipoteridicuièinvestitoiltitolaredeltrattamento;
  3. per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) ei),edell’articolo9,paragrafo3;
  4. a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento;
  5. perl’accertamento,l’eserciziooladifesadiundirittoinsede

Non passa inosservato come l’intitolazione dell’articolo 17 in lingua inglese, sia “Right to erasure”, cioè diritto alla cancellazione e solo nella seconda parte si parla (addirittura tra parentesi) di right to be forgotten, tenendo ben separate le due ipotesi. Infelice la traduzione in italiano che ha ricondotto tutto al diritto all’oblio.

Il “diritto all’oblio” ha comunque avuto un importante riconoscimento, ma quello ad una corretta informazione sembra avere una netta prevalenza come interesse pubblico rispetto alle posizioni dei singoli.

Il “Right to be forgotten” (diritto ad essere dimenticato) è comunque ormai riconosciuto, ma deve considerarsi che esistono situazioni in cui non è semplice contemperare diversi interessi confliggenti tra loro; ed il diritto all’oblio che si contrappone al diritto dovere di cronaca è uno dei casi più delicati specialmente in una società ormai sempre più telematica ed in cui le informazioni giungono e si diffondono a velocità spaventosa oltre a rimanere nella rete.

Di Diritto all’Oblio se ne è all’inizio parlato per tutelare il diritto ad essere dimenticati da parte di autori di reato quando, a distanza spesso di anni, il loro nome tornava alle cronache, ovviamente in una accezione negativa, nell’occasione di anniversari dei loro delitti anche quando, dopo avere espiato la loro pena si erano completamente riabilitati e reinseriti. Ma permaneva il diritto di cronaca.

A fronte di due situazioni e posizioni che comunque sono riconosciute degne di tutela (il diritto dell’interessato a condurre una vita anonima, e quello all’informazione), non è certo semplice svolgere quell’opera di necessario contemperamento delle posizioni o stabilire se una delle due debba prevalere rispetto all’altra.

In una recente nota pronunzia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata considerata corretta una sentenza in cui i giudici tedeschi avevano ritenuto prevalenti le ragioni di pubblico interesse a che non venissero eliminati riferimenti che associavano il ricorrente, che ne voleva la cancellazione, ad una vicenda penale remota e che lo aveva visto alla fine estraneo. La Corte Europea ha ritenuto che, nel caso, dovessero prevalere le ragioni di informazione per un pubblico dibattito ed ha chiuso la porta al diritto all’oblio ed alle aspettative di un singolo che corre il rischio di restare per un tempo indeterminato esposto ad una gogna virtuale.

Anche la nostra Corte di Cassazione ha avuto modi di esprimersi sul diritto all’oblio in un senso solo all’apparenza diverso. In una vicenda relativa al cantante Antonello Venditti, sono stati enunciati princìpi chiari sull’argomento e di cui si dovrà tenere conto quando venga invocato il diritto all’oblio. La questione non riguardava espressamente la rimozione di dati sul web, ma la richiesta di risarcimento danni per la messa in onda di un filmato in cui il cantante rifiutava di rilasciare un’intervista; la scena veniva riproposta a distanza di tempo, dando un’immagine negativa del cantante.

Il Tribunale di Roma e la Corte di Appello rigettavano la domanda di Venditti di risarcimento danni, che passava attraverso il riconoscimento del diritto all’oblio, motivando con la notorietà del personaggio la loro decisione.

La Corte di Cassazione, con un provvedimento ricco di argomentazioni strettamente giuridiche, dopo aver rilevato come il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico di informazione, e il diritto della persona a vedere dimenticate vicende che non rivestano carattere di attualità, con conseguente rimozione di ogni riferimento dalle banche dati che le contengano, confliggano tra loro, ha enunciato le line guida nell’individuazione del diritto all’oblio.

In particolare è stato ritenuto che il diritto all’oblio possa subire compressioni in favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca solo in presenza di specifici presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia, mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato; 4) le modalità impiegate per ottenere e dare l’informazione, che dovrà essere veritiera, diffusa con modalità che rispettino lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali; 5) la preventiva informazione circa la trasmissione della notizia a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della divulgazione stessa.

La Cassazione ha quindi annullato le sentenze già favorevoli alla RAI, ed è stata anche respinta la domanda volta a far ricadere la vicenda nella satira.

Il diritto all’oblio è stato pertanto riconosciuto e delineato nei suoi presupposti e si è messo a disposizione degli interessati un ombrello o un impermeabile nel momento in cui gli pioveranno addosso le piogge mediatiche generate dalle nuvole di dati informatici. Chissà se potrà bastare considerata la mole enorme delle reti informatiche.

Caparezza a Rock in Roma con il suo tour Prisoner 2018

Rock In Roma Torna Caparezza a Roma e lo fa con la grinta di sempre. Sotto un diluvio estivo fa ballare migliaia di fan

Photo Credit Domenico Cippitelli

Con Fabri Fibra chiude i battenti l’edizione 2018 di Rock in Roma.

Ultimo concerto nella cornice dell’ippodoromo delle Capannelle, location ormai istituzionale della kermesse musicale estiva, che ha visto anche quest’anno un nutrito numero di artisti avvicendarsi sul palco ed una sempre consistente risposta da parte del pubblico romano. Non poteva quindi essere da meno, nonostante il diluvio abbatutosi su Roma pochi minuti prima dell’inizio del concerto, l’affluenza di pubblico per la penultima tappa del tour di Fabri Fibra al secolo Fabrizio Tarducci con il suo “Le vacanze tour”.

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Teatro Parioli: successo della XXII edizione del Premio “Apoxiomeno Award”

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Tra i premiati: Mark Strong, Robert Moresco, i Peshmerga, Duccio Forzano e Gioacchino Giomi

Il Teatro Parioli di Roma ha ospitato la XXII edizione del premio “Apoxiomeno Award”, dedicato alle arti performative con cinema, televisione, musica, arte e sport in divisa. L’idea del premio, presentato da Annalisa Dianti Cordone e Francesco Anania, è del Tenente Colonnello Orazio Anania che, oltre a curare la direzione artistica, presiede l’Associazione “L’Arte di Apoxiomeno” ed ha anche l’obiettivo di contribuire alla promozione e alla diffusione della cultura della legalità. Il riconoscimento viene assegnato a personaggi, dello spettacolo e della cultura internazionale che, attraverso la loro attività lavorativa o professionale, hanno dato lustro alle Forze dell’Ordine.

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CAPAREZZA Prisoner 709 Tour, grande musica a Rock in Roma

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Rock In Roma Torna Caparezza a Roma e lo fa con la grinta di sempre. Sotto un diluvio estivo fa ballare migliaia di fan, scorrendo i successi dell’ultimo album e ripercorrendo più di venti anni di carriera. Il tour proseguirà per tutta l’estate concludendosi a metà Agosto in Puglia.

Il tour che ha fatto tappa a Roma prende il nome dal suo ultimo lavoro e come sempre sorprende e incanta a modo suo.

Le sue canzoni sono ispirate anche alla battaglia che sta portando avanti contro la malattia che gli è stata diagnosticata nel 2015 l’acufene, un disturbo dell’udito caratterizzato da rumori (fischi, ronzii, fruscii), un disturbo terribile per chiunque insopportabile per un musicista, a questa condizione Caparezza ha dedicato la canzone Larsen, che spiega il disturbo che dovrà combattere per tutta la vita.

Foto credit Domenico Cippitelli

Thailandia journey 2018, un Foto Workshop sul campo con Gabriele Orlini

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Gabriele Orlini, fotoreporter di grande esperienza, organizza questo workshop in Thailandia in autunno, un edizione che si ripete quest’anno dopo il successo del 2017.

Un viaggio studio per passionati fotografi che permetterà ai quarti partecipanti di apprendere i trucchi del mestiere di fotoreporter.

“Nel 2017 abbiamo viaggiato nel sud della Thailandia, da Bangkok fino all’isola di Kho Phayam – racconta Gabriele Orlini -Siamo andati alla ricerca dell’antico popolo dei Moken, gli ultimi nomadi del mare.”

“Quest’anno, nel 2018, viaggeremo verso il nord della Thailandia, da Bangkok alle zone di Chiang Mai, situate ai bordi della giungla- continua Orlini – tra templi, monaci e tribù ancestrali.”

COM’È ORGANIZZATO

Thailandia Journey 2018 a cura del fotoreporter Gabriele Orlini con la preziosa collaborazione in loco di Fabio Polese, è un workshop immersivo per sole 4 persone, pensato e progettato per quei fotografi che vogliono accrescere la propria esperienza nella fotografia documentaria, nel fotogiornalismo,nella narrazione.

Durante il viaggio nel nord della Thailandia, fuori da ogni rotta turistica, ogni partecipante seguirà un argomento assegnato, entrerà a contatto diretto con comunità locali e vivrà in prima persona le situazioni e il quotidiano che poi andrà a documentare.

L’obiettivo principale del workshop è quello di acquisire i processi e le esperienze della fotografia documentaria in condizioni di vita “reale”, seguendo un assignment finalizzato a una pubblicazione fotogiornalistica e di reportage.

Un’opportunità unica per lavorare sul campo con tutte le difficoltà e le necessità di una vera commissione, dalla gestione dei contatti in loco al viaggio, alla produzione del materiale, ai tempi spesso molto stretti.

A chiudere la giornata, ogni sera, ci saranno le sessioni di editing del lavoro svolto fino a quel momento. Ampio spazio sarà dedicato anche alla discussione e al confronto. Inoltre, verrà definito il programma del giorno successivo, comprese le eventuali modifiche al percorso di viaggio. La costante guida di Gabriele Orlini garantirà la giusta direzione nello sviluppo del proprio assignment e sarà un continuo supporto per ogni partecipante al lavoro sul campo.

Iscrizioni e maggiori informazioni sul sito https://gabrieleorlini.com/workshop-thailandia-journey-2018

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