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CULTURA - page 143

La cultura italiana in tutte le sue forme dalla letteratura al cinema, dalla scultura al teatro

Il Castello di Praga, il più grande ed eclettico del mondo

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Il castello, Prazsky hrad, si staglia sulla sponda sinistra del fiume Moldava delineando la città con le fattezze di un regno incantato. Praga anticipa il suo fascino già all’orizzonte e tra guglie e pinnacoli rivela la presenza del suo castello, il più grande di tutto il pianeta.

Il Castello di Praga, una stratificazione di stili

Una città dall’eleganza innata, anche il cielo plumbeo autunnale sopra i suoi tetti sembra un raffinato color perla. Gli edifici color pastello adornano le piazze e il profumo di zucchero dei trodelnik, i dolci tipici del luogo, aleggia per le sue vie confondendo i sensi: chiunque può cadere in preda a metamorfosi immaginarie. Chi vaga per le sue strade stimola una sorta d’immaginazione kafkiana, un incantesimo inatteso che rende la sua scoperta un viaggio che travalica la realtà per giocare con la fantasia. Come tutti i paesi delle meraviglie, Praga vanta un grande castello, il più grande del mondo. Quando parliamo di castelli, li associamo spesso ad un unico edificio, ma visitando quello di Praga ci addentriamo in una vera e propria cittadella che racchiude un susseguirsi di edifici storici, musei e gallerie racchiusi dal nastro delle sue solide mura. Una fortezza che narra racconti e leggende ma anche capitoli di storia che cambiarono le sorti del “vecchio continente”.

Vista sul Castello di Praga dai Giardini Reali

 

La particolari fattezze e la singolare disposizione sono l’eredità della sua lunga storia: l’edificazione risale al IX secolo. Nacque come un insediamento fortificato e si sviluppò in modo irregolare nel corso delle epoche successive. Nei secoli vennero aggiunte numerose modifiche, un castello in divenire che descrive nelle sue forme quattro ricostruzioni principali. L’ultima lascia intravedere il raffinato gusto neoclassico voluto dall’imperatrice Maria Teresa durante il suo regno (1740-80). Oggi si presenta ai visitatori come un mosaico di stili, perfettamente coesi nella loro diversità. Per ripercorrere nel dettaglio la storia del castello, è imperdibile una visita al suo museo nell’Antico Palazzo Reale.

Dalle tre corti al Vicolo d’oro

Da piazza Hradcany si accede all’ingresso principale al castello vegliato da statue barocche di titani combattenti. Ci troviamo nella prima corte dove allo scoccare di ogni ora si assiste al cambio della guardia. Si prosegue arrivando alla seconda corte dove nel mezzo campeggia un’elegante fontana barocca con pozzo. Da qui è possibile accedere al Tesoro di San Vito, conservato nella cappella settecentesca della Santa Croce, scrigno di meravigliosi gioielli ecclesiastici, e alla pinacoteca del Castello che offre ai suoi visitatori opere di arte europea dal XVI al XVIII secolo, tra le quali Rubens, Tintoretto e Tiziano.

Passeggiando tra le corti del castello

 

La terza corte si apre con una prospettiva sulla Cattedrale di San Vito. L’affaccio non rende giustizia alle imponenti dimensioni di questo gigante della fede, tra le cattedrali più importanti del centro Europa, polo attrattivo della vita culturale e religiosa della Repubblica Ceca. Edificata nell’arco di 600 anni, le sue fondamenta in pietra vennero poste dall’imperatore Carlo IV nel 1344 e venne consacrata solo nel 1929. Un gioiello gotico con intarsi di vari stili e tesori del XX secolo. Imperdibili sono le sue vetrate dipinte in stile art nouveau. Soffermatevi sulle opere di Alfons Mucha nella terza cappella del lato settentrionale che raffigurano le vite dei santi Cirillo e Metodio.

Vetrate di Alfons Mucha
Mosaici esterni della Cattedrale di San Vito

 

Dalla terza corte si accede anche all’Antico Palazzo Reale dove oltre alle sale del museo potrete ammirare le sue mirabolanti architetture, in particolare la Sala Vladisao che incanta con l’ipnotica armonia delle sue volte, uno stupefacente connubio tra l’enigmatico gusto tardo gotico e la compostezza razionale delle forme rinascimentali. A poca distanza si trovano gli ex uffici della Cancelleria Boema, è in questa ala del palazzo che troviamo la finestra tristemente nota nei libri di storia per la “defenestrazione di Praga” che diede inizio alla Guerra dei Trent’anni.

 Il soffitto tardo gotico di Sala Vladisao

 

La visita al castello è un susseguirsi di storie e suggestioni. Dopo la terza corte, vi attende la Basilica romanica di San Giorgio e successivamente si continua il percorso sino al Vicolo d’Oro. In controtendenza alle grandi architetture del potere civile e temporale, le sue minuscole case variopinte ci riportano in una realtà più ridimensionata ma altrettanto affascinate. Costruite nel XVI secolo per ospitare le famiglie dei tiratori scelti della guardia al castello, ospitarono nei secoli a venire gli abili artigiani orafi e successivamente artisti di fama mondiale che accrebbero la sua atmosfera, compreso Franz Kafka che vi soggiornò tra il 1916 e il 1917.

Casetta tipica del Vicolo d’Oro

I giardini del castello di Praga

Dopo una visita al castello non perdete una visita ai Giardini Reali nelle immediate vicinanze, una location perfetta per una passeggiata nella storia dell’arte. Un ricamo di architetture e decorazioni che raccontano il gusto delle varie epoche nel cuore verde della capitale ceca. Numerosi vialetti delineano un elegante parco all’inglese, un dedalo di percorsi dove è impossibile perdere l’orientamento: da ogni angolo di questo eden urbano è facile scorgere tra le grandi chiome degli alberi le guglie severe della maestosa cattedrale del castello. I Giardini Reali, in lingua ceca Kralovska Zahrada, vennero progettati nel 1534 per volere del re Ferdinando I.  Da sempre un vezzo della progettazione architettonica e della sperimentazione botanica: il loro stile si trasformò nei secoli secondo il gusto e le mode delle varie epoche.

Residenza estiva della regina Anna degli Jagelloni e la fontana cantante

 

Tra il verde degli alberi e le aiuole di fiori variopinti di una stagione ancora generosa, spicca armonica e composta la Míčovna, la casa della Pallacorda. Questo elegante edificio dal gusto rinascimentale risale al 1569 venne progettato da Bonifác Wohlmut per il gioco della palla, attività ludica molto apprezzata in quell’epoca. Meravigliosamente intarsiata nel verde del giardino anche la residenza estiva della regina Anna degli Jagelloni, un edificio dalle linee curiosamente familiari per noi del Bel Paese, non è un caso se le guide lo definiscono come “il più italiano d’oltralpe”. Di epoca rinascimentale venne ideato per la moglie di Ferdinando I nel 1535, un regale rifugio per la regina, dalle linee pure ma dalle decorazioni elaborate. Numerosi ricami e stucchi lo adornano elegantemente narrando eventi storici e tradizioni di corte. Davanti al palazzo è impossibile non notare una fontana in bronzo, non tanto per le sue forme discrete ma per il rumore melodico dell’acqua che scorre e zampilla lungo le sue linee composte. Non ci stupiamo se quest’opera di Terzio a Jaroš del 1564 è nota come “cantante”.

I Giardini Reali sono una cornice modellata da un connubio di stili coordinati nell’armonia nella natura, perfettamente inseriti in una città di identità medievale. Un angolo stratificato dalla storia del bello e delle forme, un gioco di flora e architetture dalla linearità rinascimentale con elementi di esuberanza barocca. Il luogo ideale anche per una pausa rilassante all’ombra delle numerose varietà di alberi. Questi giardini oltre ad essere un raffinato salotto affacciato sulla città, sono una nicchia di biodiversità: al suo interno è possibile trovare numerose specie endemiche della regione. Alberi e piante che racchiudono nel loro verde degli scorci mozzafiato sul castello più grande del mondo.

Come arrivare al Castello di Praga: tram 22, fermata metropolitana Malostranská Linea A.

Immagine copertina: Vista sul Castello di Praga 

Photo credits: Elena Bittante

New York, una mela sempre più verde: da Central Park alla High Line

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La Grande Mela delle possibilità, dei grandi numeri con l’anima, quelli di una metropoli sempre più votata alla tutela del verde pubblico e alla riqualifica delle zone urbane. La foresta di grattacieli non preclude i polmoni verdi come Central Park e i ritagli di smeraldo che si nascondono nelle aree più impensabili, anche a 9 metri d’altezza come la High Line, esempio virtuoso di rinnovamento urbano. Andiamo alla scoperta di una “dolce mela verde” che valorizza e protegge la natura.

High Line, la passeggiata con gli sdrai in legno 

 

New York è la città della creatività per eccellenza, palcoscenico dell’estro in tutte le sue forme e dell’innovazione in continuo divenire. La fantasia riempie le gallerie d’arte, le sale da concerti, i ristoranti e dilaga nelle strade saturandone l’atmosfera. La Grande Mela è una fucina di spunti e di idee in qualsiasi campo, anche per l’urbanistica, materia imprescindibile per la buona qualità della vita nelle metropoli di tutto il mondo. L’esempio newyorkese di riqualificazione verde per eccellenza è la High Line, il parco lineare nato da un progetto di rinnovamento urbano che ha trasformato lo spazio squallido e abbandonato di una sezione in disuso della ferrovia sopraelevata West Side in una delle aree più frequentate della città. Una piattaforma panoramica dal passato industriale trasformata in un giardino pensile nel quartiere di Chelsea all’altezza della 17th e della 26th St. Una meta frequentata abitualmente da newyorkesi e da tanti turisti alla ricerca di mete alternative, e particolarmente corteggiata da immobiliaristi e architetti di spicco per l’ascesa residenziale della zona di questi ultimi anni. La High Line è in un polo attrattivo, una cornice verde che affaccia sul fiume Hudson con vista mozzafiato di Manhattan.

Vista di Manhattan dalla High Line

 

Il grigio passato industriale e il verde presente

La High Line è una striscia lunga 2 chilometri e 300 metri a 9 metri di altezza che non tradisce il suo passato: basta percorrerla per svelare la presenza di vecchi binari che spuntano tra piante e arbusti. Si tratta di una ferrovia sopraelevata degli anni ’30, un’infrastruttura progettata dal comune per agevolare il traffico merci e per deviare il percorso dal livello strada che negli anni aveva procurato numerosi incidenti, tanto da essere denominato la “Death Avenue”, la “Via della morte”. Questo progetto oneroso da 150 milioni di dollari, diventò una tratta obsoleta a partire dagli anni ’80 a causa della concorrenza impari con il trasporto su strada. L’abbandono la trasformò in poco tempo in un’area deturpata e poco raccomandabile, tra cosche della malavita e olezzo dei vicini mattatoi.

La “Linea” rinasce dalle sue ceneri nel 1999 grazie all’intervento del comitato “Friends of the High Line”. La volontà ferrea dei partecipanti unita a delle valide proposte riuscì a trasformarla in un vero e proprio parco, un eden che spunta dal cemento e dall’acciaio. Una pianificazione intelligente che vide compimento e inaugurazione nel 2009, una mossa strategica fortemente appoggiata dai cittadini di West Village e Chelsea, che intravedevano in questa archeologia industriale una possibilità visionaria ma tangibile per delle zone a vocazione sempre più residenziale.

 

Questo nastro smeraldo tra il grigio del calcestruzzo e l’ocra del cotto che contraddistingue gli edifici della zona, è tra le passeggiate più gettonate dai newyorkesi che arrivano da tutta città per godere della sua tranquillità e del suo panorama. Una splendida promenade ricca di alberi da frutto e piante, adibita con panchine e sdrai di legno dal design raffinato. Durante la bella stagione sono presenti diversi punti ristoro, un menabò di proposte gastronomiche newyorkesi, da gustare rigorosamente take away.

L’oasi urbana ostenta con orgoglio i vecchi binari, volutamente invasi da piante ed erbacce. La scelta di ricreare un verde “selvaggio” simboleggia l’azione salvifica della natura matrigna che invade le rovine e gli scempi industriali anche nel cuore di una metropoli. Un’area verde e condivisa che ospita in tutti i periodi dell’anno l’arte pubblica, vocazione cittadina imprescindibile. La High Line infatti è anche uno spazio artistico informale con esposizioni, installazioni ed esibizioni di ogni tipo, lasciatevi stupire dagli artisti itineranti. Se desiderate informarvi sulle mostre in programma, visitate il sito art.thehighline.org

Vecchi binari, simbolo e decoro del parco 

 

Alla High Line si accede da diverse scalinate e sono presenti alcuni ascensori a Gansevoort e nelle 14th, 16th, 23rd, 30th, e 34th St. Si raggiunge con la M11 fermata Washington St., M11, M14 fermata Ninth Ave, M23, M34 fermata Tenth Ave.

Nuovi e vecchi progetti: il verde condiviso 

Incontrasi a Central Park, Bethesda Fountain 

 

New York ammalia con i suoi grattacieli da capogiro e la miriade di luci che ci avvolgono sino all’alba. Dove non si vedono le stelle è consuetudine riprodurle artificialmente e la Grande Mela crea un universo verticale davvero stupefacente. Eppure in questa incredibile città non è difficile trovare degli angoli dove la natura è protagonista, dove dissolvere il caos e dimenticare per un attimo il caotico trambusto e immaginare il firmamento. Parchi, giardini e spazi alternativi come la virtuosa High Line sono l’ideale dove ritrovare attimi di pace, rilassarsi, passeggiare o fare attività fisica. Dalla linea sopraelevata alle grandi geometrie verdi come quella di Central Park che ammanta il cuore della Manhattan. Due realtà agli antipodi ma connesse da una storia di riqualifica e dai loro intenti: il progetto di questo enorme polmone verde riqualificò una grande area paludosa. I lavori ebbero inizio nel 1858 e ben presto modellarono un’incantevole area verde condivisa, anche questa pensata come punto d’incontro per i residenti e diventata meta idilliaca imperdibile per i turisti di tutto il mondo.

Immagine copertina: Central Park

Photo credits: Elena Bittante

 

Gotti Vs Cucchi, quando il cinema racconta storie vere

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Il titolo di questo articolo non è per descrivere quale, secondo me, sia il migliore tra questi due film, ma c’è un’associazione, tutta personale, che ho fatto dopo aver visto entrambi.
Faccio solo una premessa critica partendo dal film di Kevin Connolly. Un film deludente; una copia sbrigativa del docufilm sulla vita e ascesa del Boss “Elegantone” di New York che si può anche vedere su Youtube e che Sky ha trasmesso più volte. Non mi è piaciuto niente se non l’interpretazione di Jhon Travolta che appareevidentemente, come un clone del Padrino originale.

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Campidoglio, 22 e 23 settembre Roma partecipa alle Giornate Europee del Patrimonio 2018

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Nei Musei Civici e nei siti archeologici e artistici del territorio visite e incontri gratuiti per tutto il weekend

Sabato 22 e domenica 23 settembre Roma Capitale aderisce  all’edizione 2018 delle Giornate Europee del Patrimonio (GEP) con una serie di incontri e visite guidate gratuite nei Musei Civici e nei siti archeologici e artistici del territorio promosse Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

La manifestazione – promossa dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione europea e organizzata dal Ministero per i beni e le attività culturali – si svolge con successo dal 1991 in tutti i Paesi Europei allo scopo di far conoscere ai cittadini europei il loro patrimonio culturale  come elemento di unione e di differenza, strumento di scoperta e comprensione reciproca, e di incoraggiare alla partecipazione attiva per la salvaguardia e la trasmissione alle nuove generazioni. Per il programma completo www.beniculturali.it

Il programma nella Capitale prevede, dalle ore 10.00 di sabato 22 alla sera di domenica 23 settembre, un’offerta ampia di incontri e visite guidate ispirate al tema scelto per questa edizione “l’arte di condividere”.

Le iniziative si svolgono nei Musei Civici e in alcuni siti archeologici e artistici del territorio, anche con l’apertura di luoghi non sempre aperti al pubblico. Dalle visite a grandi monumenti come l’Ara Pacis e i Mercati di Traiano a luoghi meno conosciuti, come la Casina del Cardinal Bessarione, che custodiscono un patrimonio ricco di archeologia, arte e natura.

Ad accogliere il pubblico sono curatori archeologi e storici dell’arte, con il supporto, in alcuni casi, dei volontari del Servizio Civile Nazionale, impegnati nei progetti della Sovrintendenza.

Le iniziative previste sono ideate come occasioni di incontro e condivisione, con una particolare attenzione, in alcune proposte inclusive, all’integrazione e al superamento del divario sensoriale e culturale.

Le visite sono gratuite con pagamento, ove previsto, del biglietto di ingresso al museo o al sito secondo tariffazione vigente.

Entrata completamente gratuita per i possessori della MIC Card, la carta acquistando la quale, al prezzo di 5 euro, chi vive e studia a Roma può accedere illimitatamente per 12 mesi nei Musei in Comune e nei siti storico artistici e archeologici della Sovrintendenza Capitolina ai beni culturali.

Marettimo, la selvaggia delle Egadi. Un trekking nella natura per raggiungere la storia: da Scalo Vecchio al Castello di Punta Troia

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La più selvaggia e incontaminata delle Egadi, la sorella poco mondana del trittico delle meraviglie. Un eden dalle sembianze primordiali che affiora dal blu del mare in tutte le sfumature del verde della lussureggiante macchia mediterranea. Marettimo appare solenne e maestosa già in lontananza a bordo dell’aliscafo o del traghetto: la punta del monte Falcone (686 m) si delinea all’orizzonte, incipit delle impervie avventure che attendono i viaggiatori lungo i suoi sentieri. L’isola non è solo mare, è anche terra, da calpestare, percorrere e ascoltare. Lo sgretolare dei sassi sotto le suole si confonde con il ritmo delle sue onde, una sinfonia degli elementi che accompagna un viaggio alla scoperta della natura e della storia dell’isola ma anche alla ricerca di se stessi.

Arrivo al porto di Marettimo

 

Marettimo e il suo omonimo paese

Marettimo è la più distante delle Isole Egadi e dista da Trapani circa 20 miglia. Si estende per 12 kmq, è lunga 7,5 km e larga 2,5 km. Dimensioni esigue per noi, figli del continente, finché non le testiamo sulle nostre gambe. Sull’isola non ci sono auto a noleggio, neppure scooter o biciclette, chi arriva dal mare si deve muovere in barca o a piedi. Si approda nel piccolo e omonimo centro, delizioso borgo dal binomio ricorrente: il bianco dei muri e l’azzurro delle imposte. Le sue casette brillano accecanti sotto il sole e si susseguono ordinate nelle loro geometrie elementari. Nessun vezzo creativo tradisce la classica edilizia mediterranea con il tetto piano spesso adibito a terrazzo, location privilegiata per albe e tramonti o per guardare le stelle che di rado si nascondono a queste latitudini.

Via del centro, il bianco e l’azzurro tipico delle sue case

 

Il piccolo centro conta 680 abitanti ma nel periodo estivo pullula di vita: i bambini si rincorrono per le stradine e tutti girano comodamente a piedi senza la necessità di mezzi. La sera diventa un salotto all’aria aperta per chiacchiere e convivialità, anche i dirimpettai si incontrano in strada. La parola a Marettimo, come in tutto il sud Italia, primeggia sui mezzi di comunicazione 2.0 e disintossica, almeno per qualche ora, dalla connessione compulsiva con il resto del mondo.

La condivisione e l’allegria della sera nel paese di Marettimo 

 

I bar viziano i turisti con brioches con granita al gelso, al limone o al pistacchio e i ristoranti spadellano le “busiate al pesto”, pasta tipica trapanese (e altre varianti isolane), Marettimo è un microcosmo che appartiene pur sempre alla Trinacria. La cucina ci geo referenzia eppure bastano poche ore per rendersi conto dell’unicità dell’isola. Un mondo a sé che si racconta nell’eredità della storia, disseminata nei suoi anfratti e promontori, e nella natura incontaminata delle coste e dell’interno, delle piccole baie dai toni scuri, delle grotte che ululano notte giorno e della terra generosa di biodiversità. Marettimo è l’unica delle Egadi ad essere considerata un autentico “paradiso botanico”. Si contano più di 500 specie vegetali, non è un caso se l’etimologia del nome con cui la conosciamo oggi derivi dal latino “Maritima”, forse per l’abbondante presenza di timo selvatico. I pini di Aleppo ammantano i versanti e sono il rifugio di diversi tipi di uccelli rapaci come il falco pellegrino, la poiana, il gheppio e il corvo imperiale. La sua struttura collinare montuosa è un’oasi faunistica e lungo i sentieri montani più interni è facile avvistare mufloni, cervi e cinghiali.

Itinerario di trekking da Scalo Vecchio al Castello di Punta Troia.

Spesso chi approda per la prima volta a Marettimo ha poco tempo a disposizione. E’ una meta attrattiva da non perdere per chi soggiorna a Favignana durante le vacanze estive. Anche una toccata e fuga vale il viaggio in questa incantevole isola e chi l’assaggia riparte con il desiderio di tornare e dedicare più giornate alla sua scoperta. Una proposta ideale per chi si ferma almeno una notte e può ottimizzare anche le prime ore del mattino è un trekking che parte dal paese e raggiunge il Castello di Punta Troia, uno dei luoghi simbolo dell’isola.

Partenza dallo Scalo Vecchio, in lontananza il castello

Sentiero battuto della Forestale che conduce a Punta Troia

 

Questo cimelio del passato svetta sulla cima dell’omonimo promontorio a 116 m. Costruito dai Saraceni nel IX come torre di vedetta e rimodellato in un vero e proprio castello nel 1140 per volere di Ruggero II, re di Sicilia. Calderone di innumerevoli storie e leggende, nel corso dei secoli divenne anche un rifugio di pirati e corsari. Venne utilizzato anche a scopi militari come punto di avvistamento per poi essere abbandonato dopo la seconda guerra mondiale. Il castello di Punta Troia è tornato al suo splendore dopo i restauri iniziati nel 2011 e oggi è aperto al pubblico e ospita un museo delle carceri e un osservatorio della foca monaca della Riserva marina protetta delle isole Egadi.

Il castello restaurato nel 2011

 

E’ facile arrivare all’approdo di Punta Troia in barca, accompagnati da qualche guida locale. Il promontorio presenta due accessi al mare: Scalo Maestro e Cala Manione. Vi aspetterà solo l’impervia salita che conduce al castello, un tratto esiguo rispetto a chi lo raggiunge a piedi dal paese. Il percorso di trekking parte dal porto vecchio e segue il sentiero battuto realizzato dalla Forestale. Il tempo di percorrenza è stimato in 1 ora e mezza circa. L’itinerario è abbastanza impegnativo e soprattutto in alcuni punti a strapiombo sul mare bisogna prestare molta attenzione. Un minimo di tensione e adrenalina sono ripagati da scorci mozzafiato: i tornanti volano alti sopra un paesaggio color smeraldo che digrada verso il mare. Da questa prospettiva è possibile ammirare dall’alto lo Scoglio del Cammello, una formazione calcarea distinguibile per la forma che ricorda il dorso dell’animale, un’alternativa all’incantevole grotta che si trova al suo interno, tappa obbligata dei tour in barca e meta imperdibile dei subacquei. L’ultimo tratto si presenta particolarmente sdrucciolevole, calma e prudenza devono sempre accompagnare il vostro entusiasmo. Imparate a dosarlo bene, come le energie, serviranno per il percorso di ritorno.

Scoglio del Cammello 

 

Come arrivare a Marettimo

L’isola è ben collegata a Trapani, a Marsala e alle altre isole delle Egadi. Le corse sono molto frequenti e la compagnia che effettua il servizio è Siremar.

I tempi di percorrenza da Trapani sono 50 minuti e da Marsala di 1 ora. Il diretto da Favignana stima 30 minuti di percorrenza.

Immagine copertina: Castello di Punta Troia

Photo credits: Elena Bittante

Chiusa con successo la rassegna “Cinema e Libri” all’Isola Tiberina.

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Si è conlusa la kermesse “Cinema e Libri” nella splendida location dell’isola del Cinema con la Direzione Artistica di Giovanni Fabiano che ormai da qualche anno anima, tra cultura, storia, natura e movida, l’isola Tiberina.

Erika Kamese, attrice, modella e oggi autrice, ha presentato il suo primo libro “Anetoli di vita”.

Le qualità letterarie della giovane artista siciliana sono state una sorpresa non solo per gli addetti ai lavori. A suppportare il suo lavoro le referenze di personaggi come Gino Landi e Lino Banfi e un amico “fan” Claudio Lippi che ha voluto presenziare l’evento raccontando del libro e di aneddoti legati alla sua amicizia con l’autrice.

“Aneliti di vita” è un libro che stupisce, di facile lettura e di una intesnistà commovente. C’è tutto perchè c’è tutta Erika Kamese, la sua dolcezza, la sua ironia, la sua fermezza, la sua sensualità mediterranea che riporta la donna ad essere femmina prima che essere umano.

In questo libro, più da vivere che da leggere, si percepiscono anche sentimenti/risentimenti per una vita, quella di oggi, in cui facilmente si cede alla tentazione della vendetta.

Ma Erika preferisce l’amore anche se, in una sua dichiarazione, ha detto di sentirsi come quel John Coffey del “Miglio verde” film di Frank Darabont tratto da uno dei più celebri libri di Stephen King.

Erica diventa Coffey perchè la sua anima non regge più il dolore moderno per le attualità nere che ogni giorno ci flagellano la mente e lo spirito. Stupri, violenze, femminicidi, il ponte che crolla…una serie di avvenimenti che solo ai più insensibili non portano turbamenti.

Erika si commuove, piange, li ascolta, li vive e li sente e non ne può più e lo grida forte sugli applausi di un pubblico, quello dell’Isola, che è più che mai attento al contrasto tra la rabbia e la dolcezza di questa attrice che sarà presto protagonista di un film girato sulla Costiera Amalfitana.

Erika Kamese è un’atrice pura, vera che non ha ancora espresso la sua reale e umile mediterraneità. Una attrice/scrittrice che può far parlare di se e regalare all’Italia e al suo cinema un nuovo volto che facilmente potrebbe essere notato anche al di la dei nostri confini.

Il libro va letto lasciandosi “dondolare” dal silenzio che ci circonda, magari in una panchina di una parco in autunno mentre le foglie cadenti divenatno note di vento; oppure sulla spiaggia ma quando si è soli.

La cultura può salvare il mondo ed in modo particolare questa Italia che di cultura e storia è figlia e allo stesso tempo madre per tutti gli altri. Un’Italia che però si è lasciata andare al vizio del privilegio di chi con la cultura ci è nato e quindi non la comprende più.

Bisogna riorganizzarci, riprenderci i momenti di dialogo. Leggere, scrivere, condividere. Eventi come questi dell’isola del Cinema sono necessari come i vaccini per tutelarci appunto dai diversi virus dell’ignoranza.

Si perché l’ignoranza non ha soltanto il proprio virus, ma ne ha diversi: l’arroganza, la maleducazione, la supponenza, l’avidità, la sporcizia, l’avarizia e l’individualismo.

Riappropriarsi della cultura significa far risorgere l’Italia e gli italiani e leggere è un buon esercizio.

Fabrizio Borni

Islanda la sorella della luna, seconda parte

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Dopo la scoperta della parte sud est del paese e della sua capitale Reykjavík, la bussola punta verso nord ovest seguendo la lunga strada del suo periplo. L’Islanda è idillio e meraviglia ma anche pazienza e volontà, completare il giro dell’isola in soli otto giorni è una bella impresa. I chilometri scorrono nel tachimetro della 4×4 e dai finestrini si ammira una terra plasmata dai suoi elementi in continuo divenire, una realtà vulcanica ma con tante varianti sullo stesso tema, uno spettacolo che evolve “on the road”. Ogni scorcio meriterebbe una sosta ma per questa prima avventura islandese puntiamo solo ad alcune delle mete appuntate sulla mappa lasciando le restanti al desiderio di un ritorno, sempre più motivato dalla scoperta di questa luna terrestre.

I fiordi occidentali e la parte nord

Scogliere di Látrabjarg

 

La bussola punta verso nord-ovest in direzione dei fiordi occidentali, a un passo dalla Groenlandia. Le ruote scorrono lungo l’asfalto e tritano con forza lo sterrato sempre più ricorrente. Il percorso si adagia alla morfologia dell’area che ricorda una grande chela di granchio: l’Islanda sembra quasi volersi agganciare al Circolo Polare Artico. Si comincia a respirare l’essenza più selvaggia del paese, dove la sinfonia della terra, del vento e dell’acqua disegna le sue forme. Le vie percorribili ricamano i fiordi attraversando i passi montani sino a fiancheggiare il mare. La lentezza del tragitto è il giusto compromesso tra sicurezza e stupore: paesaggi mozzafiato ripagano ogni minuto traballante a bordo dell’auto. Solo in questi momenti è possibile capire che la calma è il segreto per un viaggio in Islanda, capace di rivelarci il meglio della natura circostante e assicurarci dai rischi. Una sfida anche per l’automobilista più impavido: strade sterrate e piene di buche seguono la costa tortuosa tra scogliere frastagliate, torrioni di pietra e macchie di tundra, come le penisole a forma di tridente che si estendono a sud ovest dei fiordi. Spiagge di sabbia finissima e dorata spiccano a contrasto delle scogliere color ebano come le Látrabjarg che si estendono per 12 chilometri lungo la costa con altezze che variano dai 40 ai 400 metri. Minuscoli villaggi puntellano di umanità queste lande desolate come il centro di Hornstrandir o il piccolo villaggio di pescatori di Bíldudalur appollaiato nel Arnarfjörður con vista mozzafiato sul fiordo. Imperdibili le cascate di Dynjandi (Fjallfoss), humus perfetto per leggende popolari legate alla magia e agli incantesimi, non è un caso se nel villaggio di Holmavik si trova il Museo della Stregoneria islandese.

Bíldudalur e il Arnarfjörður
Fauna dei fiordi occidentali
Skipagata, la via principale di Akureyri

 

Il viaggio continua verso nord-est in direzione della cittadina di Akureyri, il secondo centro del paese per grandezza e popolazione. Poco più di 17.000 abitanti, eppure sembra assumere le sembianze di una metropoli dopo i chilometri percorsi tra le montagne disabitate dove le uniche forme di vita sono piccoli greggi di pecore incoscienti che attraversano la strada senza preavviso. La città è il capoluogo della vasta regione settentrionale, conosciuta come il paradiso dei geologi grazie all’incredibile varietà di morfologie e colori, tra deserti di rocce dall’aspetto lunare, pozze di fango eruttanti e cascate stupefacenti. Un’incredibile eterogeneità del paesaggio nonostante la coerenza della natura vulcanica. Tappa obbligata è la regione del lago Mývatn, tra la bellezza aspra e ultraterrena della superficie e quella nascosta e suggestiva delle grotte laviche, paradisi contrastanti di fuoco e ghiaccio. In quest’area inquieta (anche per la presenza di sciami di moscerini che infestano alcune aree a ridosso del lago), non mancano le piscine geotermali, allettanti attrattive di relax per ricaricarsi e rinfrancare i muscoli indolenziti dal viaggio. Dopo qualche ora di pace alle terme di Mývatn, l’adrenalina sale visitando la cascata di Dettifoss, spettacolo della natura nel Parco Nazionale di Vatnajökull. In questo luogo la potenza dell’acqua descrive il suo percorso in profondi canyon scavati nella roccia, capace di evocare il rombo più forte tra tutte le cascate d’Europa. Imperdibile la più piccola ma altrettanto spettacolare cascata di Goðafoss, letteralmente la “cascata degli dei”. Questa bellezza del creato non è tra le più grandi dell’Islanda ma la più importante per la sua storia: nell’anno 1.000 l’oratore delle leggi Porgeir lanciò nella cascata i simboli delle divinità pagane norrene a testimonianza della conversione alla fede cristiana delle genti. Un gesto che ne consacrò l’importanza simbolica e il suo nome.

Cascate Dettifoss
La regione del lago Mývatn

 

 

La costa sud e il Vatnajökull, il ghiacciaio più grande d’Europa

Il percorso scelto che traccia le tappe di questa prima avventura islandese segue verso sud scavallando le impervie aree interne e arriva sino alla costa che affaccia sull’Atlantico tra panorami ancestrali di montagne a picco sull’oceano. Nonostante il periodo estivo e la brezza marina, le cime sono spolverate dal bianco dei ghiacci perenni, un suggerimento della vicinanza di Vatnajökull, il ghiacciaio più grande d’Europa che domina gran parte della regione meridionale dell’isola, con una superficie due volte lo stato del Lussemburgo. I chilometri percorsi lungo la Hringvegur nella parte meridionale dell’isola, rivelano contrasti inaspettati: vasti delta di sabbia grigia alternano la luminosità delle imponenti lingue glaciali. Le loro sinuosità ci accompagnano sino alla laguna di Jökulsárlón dove la bellezza della natura incanta lo spettatore con i suoi colori freddi. Conosciuta come l’eden dei fotografi, in questo luogo il ghiacciaio s’immerge nell’acqua del mare creando numerosi iceberg che il vento modella con la sapienza di un artista creando delle forme fantastiche. Le tonalità cerulee incontrano il nero della sabbia per poi addentrarsi nelle torbide acque glaciali creando uno scenario unico e suggestivo.

Scorci lungo la Hringvegur: lingua glaciale del ghiacciaio
Sculture di ghiaccio della laguna di Jökulsárlón

 

Islanda, realtà a tratti immaginaria capace di trasformare anche la malinconia dei suoi spazi desolati e i toni freddi della sua natura in esperienze suggestive, quasi extraterrestri. L’ultima tappa del viaggio la spiaggia nera di Vik, uno scenario al negativo, con onde bianche che esauriscono la loro furia nella battigia color pece. I faraglioni neri di Reynisdrangur che si stagliano come dita scheletriche di fronte alla costa sono un’attrattiva irrinunciabile per i turisti che nonostante la pioggia intermittente (è considerato il luogo più piovoso di tutta l’Islanda) e la poca luce anche durante il giorno, non rinunciano ad una foto ricordo. La piccola cittadina di Vik, la più a sud di tutta l’Islanda, riscalda le sue stupefacenti e tetre atmosfere con il calore e l’accoglienza delle casette variopinte della sua comunità che non supera i 300 abitanti.

I faraglioni Reynisdrangur, spiaggia di Vik

 

Questa è l’Islanda, un’isola capace di emozionare il viaggiatore grazie alla bellezza austera e al fascino unico ricco di contrasti e suggestioni lunari.

 

Immagine copertina: laguna di Jökulsárlón.

Photo credits: Elena Bittante

Elena Bittante
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