Il giorno in cui morì la felicita’
Quando muore una persona cara se ne parla sempre bene, anche da parte di chi l’ha denigrata in vita. Figuriamoci poi se questa persona era davvero come viene descritta dopo morta.
Quando muore una persona cara se ne parla sempre bene, anche da parte di chi l’ha denigrata in vita. Figuriamoci poi se questa persona era davvero come viene descritta dopo morta.
Dall’11 al 14 Ottobre Ariccia e Frascati diventano Città del Cinema.
Si è aperta ufficialmente con la proiezione dei Film “Seguimi” e “Tulips” la seconda edizione del Festival Internazionale del Cinema dei Castelli Romani, evento ideato e prodotto dalla Fondazione Punto e Virgola, Presieduta da Marco Di Stefano e Patrocinato e sostenuto dalla Direzione Generale Cinema – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in collaborazione con i Comuni di Ariccia e Frascati. Un Festival, quello di quest’anno, in cui si è voluto certificare l’importanza della diffusione della Cultura Cinematografica partendo dalle scuole. Non è un caso che ben 5 sono gli Istituti, tra Frascati ed Ariccia che, con la supervisione di alcuni registi hanno realizzato cinque cortometraggi di davvero grande spessore che verranno proiettati Venerdì 12 ottobre presso le Scuderie Aldobrandini a partire dalle 19.00. Quest’anno i film in concorso sono sette di cui due stranieri, “Tulips” del premio Oscar Mike Van Diem che risulta tra i favoriti e l’action movie “All She Wrote” di Niki LLiev ed una coproduzione Italia/Spagna “Seguimi” che potrebbe essere la sorpresa del Festival. Sette sono anche i cortometraggi professionali finalisti su ben su trentatre selezionati per contendersi il Premio di Miglior Short Film.
“Il coinvolgimento dei paesi stranieri è un interscambio culturale che non fa altro che arricchire la conoscenza delle varie società nel mondo. Il Cinema, quello fatto bene, è spesso infatti proprio questo: intercultura vera e molti film, purtroppo, non trovano grandi distribuzioni e finiscono troppo presto per essere dimenticati. Importante sono anche le produzioni indipendenti che danno valore a giovani emergenti e per questo abbiamo scelto, tra i vari titoli importanti come Tulips, il Pretore o Seguimi, anche opere prime come quella di Marco Cervelli, Aspettando la Bardot, o quella minore ma dai forti contenuti sociali come Ira, di Mauro Russo Rouge” queste le dichiarazioni del Presidente Marco Di Stefano Patron del Festival.
A differenza della scorsa edizione, due le location di quest’anno; infatti oltre alle prestigiose sale del Palazzo Chigi di Ariccia, anche il Comune di Frascati ha aderito, mettendo a disposizione le sale delle Scuderie Aldobrandini. “E’ un piacere poter ospitare a Frascati un Festival del Cinema internazionale. L’Amministrazione è sempre pronta a sperimentare eventi ed iniziative di spessore. Il cinema è uno strumento culturale straordinario. Un ringraziamento di cuore va agli organizzatori per aver coinvolto la nostra Città e agli studenti e ai professori delle scuole di Frascati che hanno raccolto l’invito a produrre i cortometraggi”. Sono le parole di Roberto Mastrosanti, sindaco di Frascati mentre Roberto Di Felice, Primo Cittadino di Ariccia ha ribadito l’importanza di fare rete nell’area dei castelli romani con eventi di questo tipo, aprendo le porte all’internazionalizzazione e di quanto la Cultura sia importantee quanto indotto con essa si può creare.
Due le giurie, di cui quella dei film presieduta da Elizabeth Missland già Presidente Onoraria dei Globi d’Oro ed oggi Coordinatrice Artistica del Festival de la Comediè di Montecarlo ideato da Ezio Greggio. Garantita la presenza di sopiti internazionali come le attrici Angelique Cavallari e Sanya Barisova. Presenteranno la serata finale Silvia e Laura Squizzato.
Tutte le proiezioni sono ad ingresso libero sino ad esaurimento dei posti ed il programma completo si può visitare sul sito www.festivalinternazionalecinemacastelliromani.com
Cagliari, un quarzo luminoso incastonato nella pietra grezza. La città spicca dalla terra brulla della sua isola e ammalia all’istante chi arriva dal cielo ma soprattutto chi giunge dal mare. Adagiata sulle alture dell’omonimo golfo, la città confonde l’occhio con un susseguirsi di edifici dal basso verso l’alto, solo la grande cupola della cattedrale orienta la sua cima coronandola come una splendida regina del Mediterraneo. Basta un giorno e quattro mete per scoprire tutto il suo fascino visitando i suoi quartieri.
Cagliari, Kàralis, il capoluogo della Sardegna è spesso considerata meta di transito per le idilliache località balneari di questa perla del mare nostrum, eppure è molto più di un porto di passaggio. Città dalle tante identità e marinara per tradizione, si rivela un camaleonte urbano. Ci si orienta velocemente passeggiando per le sue vie, lungo il saliscendi dei suoi colli che la trasformano in un sinusoide di avanscoperta. Via terra o via mare ci si addentra inizialmente al quartiere Marina che vive del suo porto, si sale verso Stampace con le sue rovine antiche, sino a giungere alla cima nella zona medievale di Castello, vedetta della città, per poi riscendere a Villanova, sorpresa inaspettata che cambia nuovamente registro architettonico lungo le sue viette colorate dove si racchiude la tradizione delle arti e dei mestieri.
Marina
Il quartiere di Marina si perimetra in un quadrilatero che affaccia sul porto. Quintessenza mediterranea ne rivela le principali caratteristiche, compreso il profumo della sua cucina che stordisce i sensi lungo le sue vie che per disposizione ricordano un castrum romano. “Cardine” della zona e della buona tavola è via Sardegna dove potete trovare l’intero panorama della cucina sarda e delle sue prelibatezze di mare. Marina è lineare nelle forme ma eclettica nell’intrattenimento. Si parte dalla passeggiata di via Roma che corre a fianco del porto nel lato sud ovest del quartiere con i suoi eleganti portici e palazzi tardo ottocenteschi, eredità sabauda della città. Lungo la via affacciano il Palazzo Civico e il Palazzo della Regione, voce fuori dal coro per le sue linee moderne adornato con le sculture di Costantino Nivola. Degna di nota è la chiesa di Sant’Eulalia che nonostante la sobria apparenza esterna in stile gotico catalano, racchiude nel suo ipogeo un’area antichissima. Sul retro della chiesa si accede al Museo del Tesoro di S.Eulalia e agli scavi archeologici dove è possibile visitare i resti di edifici romani e di strade lastricate.
Stampace
Il quartiere di Stampace si sviluppa in pendenza tanto da essere suddiviso tra “Stampace alta e bassa” a partire da via Azuni, la popolare strada nota per il suo passato di gare equestri. Questa zona è un salotto cittadino scrigno della sua storia antica. Dopo aver sostato in uno dei piacevoli locali di piazza Yenne, adornata da eleganti palazzi dell’800 e vegliata dalla fiera statua del re Carlo Felice in foggia romana del 1827, potete inoltrarvi nella via dello shopping Vittorio Emanuele II in direzione est oppure verso ovest alla scoperta dell’animo antico del quartiere. Qui si trovano l’Orto Botanico e le suggestive rovine dell’Anfiteatro romano e della villa di Tigellio. Segue la necropoli di Tuvixeddu, un lungo percorso che si addentra nell’antichità dagli insediamenti punici all’espansione della Roma antica. Per un tuffo nella storia meglio servirsi dei mezzi moderni: l’autobus numero 8 transita da piazza Yenne e ferma nei punti d’interesse, ideale per snellire i tempi e bypassare le pendenze, piuttosto impegnative in quest’area della città.
Castello
Il colle di Castello dove è appollaiato l’omonimo quartiere, oggi come allora è il punto di vedetta della città. Questa è la parte più alta di Cagliari, imperdibile per le sue mete d’interesse storico culturale come la Cattedrale di S. Maria a Piazza Palazzo. Di impianto medievale descrive lo stile romanico-pisano-lucchese nella facciata rimaneggiata nel 1933, dai cagliaritani considerata “sa Seu”, “la Sede”, un punto di riferimento imprescindibile. Al suo interno non perdete il Santuario dei Martiri che sotto la chiesa accoglie i visitatori in tre cappelle scavate nella roccia e adornate in stile barocco da marmi policromi.
Il quartiere ospita la cittadella dei musei, prestigioso angolo di arte e storia dove spaziare dalle collezioni della Pinacoteca nazionale a quelle del prestigioso Museo archeologico nazionale che custodisce i cimeli del passato isolano, un percorso che parte dal Neolitico e arriva sino all’età altomedievale. Per gli amanti della pittura e della scultura, i giardini pubblici ospitano la Galleria comunale d’Arte con le opere dei più famosi artisti sardi del ‘900.
A delineare il punto più basso e quello più alto del perimetro della cinta bastionata che circonda il quartiere (eretta nel 1217 dai toscani e rafforzata nei secoli dagli spagnoli e dai piemontesi), le due torri del ‘300 simbolo della città: quella dell’Elefante che segnalava l’ingresso alla parte più bassa e di S.Pancrazio che svetta nel punto più alto della città, in gara perenne con la cupola della Cattedrale. Perdetevi nelle vie strette del ghetto e sbucate negli ampi belvedere di Castello da dove si possono scorgere diverse prospettive di Cagliari. Dalla parte est del porto all’affaccio verso ovest, un divenire urbano che ammanta il territorio. Case e palazzi corteggiano anche le alture circostanti senza arrivarne alla cima, contornano lo stagno di Molentàrgius, le saline, si delineano a ridosso della spiaggia del Poetto e infine sfumano come un miraggio verso Quartu Sant’Elena. Il quartiere di castello, “Casteddu”, un tempo era posizione strategica per sorvegliare gli arrivi dal mare, oggi offre postazioni ideali dove comprendere la stratificazione cittadina e la simbiosi con l’ambiente marino che la circonda, un puzzle che include anche tasselli di modernità grossolana con edifici che stonano con il paesaggio, eredità della distruzione post guerra. Imperdibile uno sguardo dal Bastione S.Remy (1899- 1902), meta identitaria della città che collega il quartiere di Castello a quello di Villanova.
Villanova
E’ facile intuire dal nome la storia di questo quartiere: “città nuova”, l’espansione di Cagliari verso la campagna. La parte più caratteristica di questa zona si trova alle “pendici” del colle Castello, dove si snodano le sue viette dalle case basse e multicolore. Guardatevi attorno e alzate lo sguardo, noterete la cura meticolosa dei dettagli. Quest’area cittadina racchiude la vocazione “rurale” che si descrive poeticamente nella sua edilizia discreta rispetto alle grandi mura e i bastioni della storia che campeggia sopra la loro testa ma con un estro creativo degno di nota. Sembra di essere catapultati in un’altra città, con le case basse e uniformi distinte dai particolari dei suoi balconi-giardino che abbelliscono l’intera via. A prevalenza residenziale, la zona ospita anche alcune botteghe artigiane, magnifiche nella loro dimensione atemporale. Questo quartiere pittoresco si distingue anche per le sue chiese a testimonianza della dominazione spagnola della città: la chiesa di S.Giacomo che conserva ancora lo schema catalano a navata unica con “capilla mayor” e il Santuario di Nostra Signora di Bonaria, anche questo luogo di fede ripropone una struttura in stile catalano aragonese.
Immagine copertina: quartiere di Stampace.
Photo credits: Elena Bittante
Roma, 4 ottobre 2018 – Due amici, due compagni di viaggio uniti dalla passione per il cinema. Emanuele Luzzati e Giulio Gianini si sono conosciuti per gioco verso la metà degli anni ’50 davanti ad un teatrino di burattini e da lì hanno intrapreso un viaggio che lì ha portati, per ben due volte, fino alla cerimonia degli Oscar, consacrandoli definitivamente come due personalità decisive per l’affermazione del cinema d’animazione italiano nel mondo.
Oggi, la Casa del Cinema di Roma rende loro omaggio con una grande esposizione dal titolo Lele Luzzati e Giulio Gianini: cinema di animazione, in programma dal 10 ottobre al 7 novembre, che comprende circa trenta ingrandimenti fotografici estrapolati dalle scenografie e dai personaggi creati a mano da Luzzati e animati (e mossi registicamente) da Gianini. Una magnifica selezione con bozzetti relativi a La Gazza Ladra, Pulcinella, Papageno e Papagena, Ali Babà e tanti altri messa a disposizione da Carla Rezza Gianini, dal Museo Luzzati e dalla Fondazione Teatro della Tosse, accompagnata da una rassegna cinematografica, in programma durante il mese di ottobre, con i più interessanti film di animazione ideati e prodotti dai due grandi artisti. L’esposizione e la rassegna sono state volute e prodotte dalla A.S.C. (Associazione Italiana Scenografi, Costumisti, Arredatori) nelle persone dei suoi curatori Alida Cappellini, Giovanni Licheri, Lucia Nigri e Carla Rezza Gianini.
Luzzati, genovese della buona borghesia ebraica, si diploma all’Ecole des Beaux Arts di Losanna dove nel frattempo era stato costretto a rifugiarsi a causa delle leggi razziali introdotte dal fascismo. Insieme ad altri “esuli” rientra in Italia nel 1945, all’indomani della liberazione e inizia la sua attività di scenografo e costumista in teatro. È nella seconda metà degli anni ’50 che incontra, grazie ad amici in comune, Giulio Gianini, scenografo romano diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Roma, già attivo nel mondo del cinema come direttore della fotografia, soprattutto quella a colori (fu uno dei pionieri della nuova tecnica). Il teatrino di burattini che Gianini possedeva e con il quale si dilettava in spettacoli ad uso di parenti e amici, fornì l’occasione di una prima collaborazione tra i due. Gianini chiese allo scenografo di dipingere un boccascena per quel prezioso giocattolo, Luzzati che condivideva la stessa passione, non se lo fece ripetere due volte.
Nel tempo Luzzati e Gianini si sono affermati come la coppia d’oro del cinema d’animazione italiano. Accomunati dalle medesime passioni, la loro genialità si è messa al servizio di un fortunato sodalizio che ha generato una serie di opere dalle immagini estremamente divertenti e di una bellezza eccezionale, due delle quali hanno ottenuto la nomination agli Oscar come Miglior Cortometraggio d’Animazione: La gazza ladra (1966) e Pulcinella (1974).
Grazie alla tecnica del découpage, il cinema di Luzzati e Gianini ha inglobato tutta la cultura del teatro: i personaggi, sebbene siano solamente pezzetti di carta che si spostano sui fondali, sembrano uscire da questi stessi scenari per diventare colore in movimento. Una poesia animata che, tramite l’utilizzo di tinte accese e luminose e il gioco di sfumature, ha creato una profusione di colori sgargianti che rendono vivi i protagonisti, quasi come se tendessero le loro mani verso gli spettatori.
Insieme, Luzzati e Gianini hanno realizzato alcuni dei capolavori della storia del cinema d’animazione italiano che li hanno resi due degli artisti più amati e ammirati del nostro tempo. Grazie alla rassegna che accompagnerà la mostra per tutto il mese di ottobre sarà possibile apprezzare parte di questo immenso lavoro e scoprire dei gioielli di rara bellezza come i tre film ispirati alla musica di Gioacchino Rossini La gazza ladra del 1964, L’italiana in Algeri del 1968, Pulcinella del 1973 o l’opera Il flauto magico del 1978, basato sull’omonimo singspiel del 1791 musicato da Wolfgang Amadeus Mozart, su libretto di Emanuel Schikaneder. E poi ancora Pulcinella e il pesce magico, L’uccello di fuoco, I Paladini di Francia, La casa dei suoni fino ad arrivare a Jerusalem, opera carica di colori e fantasia, commissionata dal sindaco della città israeliana, che in 14’ racconta tremila anni di storia della città, tra battaglie, lotte e speranze.
“La cultura italiana – dichiara Giorgio Gosetti – e, a suo modo anche il nostro cinema, non potrà mai ricambiare la creatività, la generosità, l’originalità e l’invenzione che Lele Luzzati ha portato in dono con la sua arte. Ma se dal teatro, dalla pittura, dall’arte povera passiamo al cinema, il vero “traghettatore”, il regista e inventore è senz’altro Giulio Gianini che di questo omaggio alla Casa del Cinema è in fondo il “padrone di casa”. Impossibile scindere le due personalità, impossibile dire dove comincia l’uno e finisce l’altro. Difficile anche rintracciare un’eredità per un momento così smagliante per la nostra cultura visiva come sono stati gli anni di Gianini&Luzzati. Il vero regalo sta, una volta ancora, nella freschezza e nella novità che ogni loro lavoro, ogni disegno, ogni sequenza, riesce ancora a restituirci sia che siamo bambini, anziani, spettatori o semplici curiosi che – magari catturati per caso dai loro film – non sappiamo poi staccarcene e “trattener la meraviglia”
“Giugi e Lele come tutti li chiamavano – continua Carla Rezza Gianini – avevano due personalità molto diverse e perciò complementari, unite da una grande sintonia, che passava attraverso canali misteriosi, noti solo a loro due. Li accomunava la straordinaria abilità artistica e professionale, oltre a una componente di entusiasmo candido e disarmante. A parte il loro dono di riuscire a guardare il mondo con lo sguardo di un bambino, una altra cosa che li univa molto era un grande senso dello humour, e quella incapacità di prendersi troppo sul serio anche quando erano diventati famosi, e la critica mondiale ne tesseva le lodi, elogiandone la fantasia, l’immaginazione e il mondo poetico”
PROGRAMMA RASSEGNA
MERCOLEDÌ 10 OTTOBRE | Ore 20 Sala Deluxe
– Omaggio a Rossini (La gazza Ladra, Italiana in Algeri, Pulcinella, Turco in Italia)
– Il flauto Magico
GIOVEDÌ 11 OTTOBRE | Ore 16 Sala Kodak
– Pulcinella e il pesce magico
– La ragazza cigno
– La palla d’oro
– L’uccello di fuoco
– La donna serpente
– C’erano tre fratelli…
– Alì Babà
– L’augellin belverde
– La casa dei suoni (solo i 14’ animazione)
– Jerusalem
DOMENICA 14 OTTOBRE | Ore 10.30 Sala Deluxe
– Pulcinella e il pesce magico
– La ragazza cigno
– La palla d’oro
– Omaggio a Rossini (La gazza Ladra, Italiana in Algeri, Pulcinella, Il turco in Italia)
– Alì Babà
– Il castello di carte
DOMENICA 21 OTTOBRE | Ore 10.30 Sala Deluxe
– Il Flauto Magico
– Alì Babà
– L’augellin belverde
– La tarantella di Pulcinella
– Pulcinella e il giuoco dell’oca
– Pulcinella
– Pulcinella e il pesce magico
Corriamo quotidianamente, il più delle volte perdendo tempo. Spesso ci impegnamo in cose inutili e ci danniamo magari per le stesse. Dimentichiamo sovente la nostra storia, i nostri ricordi, perchè viviamo di speranze rincorrendo un futuro perennemente incerto. Accade ovunque, in qualunque settore, anche nel Cinema.
In questo periodo c’è un moltiplicarsi di Festival e Premi Cinematogafici dove, anche li, la creatività (che è figlia del tempo lento) viene rimpiazzata dalla competitività e quindi il rincorrere film prima degli altri, per essere i primi a consegnare eventuali premi e fare passerelle di e tra VIP più o meno riconosciuti.
Il 5 ottobre del 1922 nasceva a Palermo una delle maschere più pure, autentiche ed originali del cinema italiano. Una maschera certo, ma quella di un grande attore poiché tale si dimostrò in film eccellenti di quella categoria che difficilmente riusciamo oggi a riprodurre.
Un attore che sapeva fare teatro e televisione, che era tenero, dolce, simpatico, canaglia e divertente.
Parliamo di Francesco Ingrassia, in arte “Ciccio”.
Nei Festival che si sono appena svolti e in quelli che si svolgeranno non c’è rassegna o riconoscimento a lui dedicato. A lui come a tanti altri, basti pensare che per il 50° della morte di Totò è stato fatto davvero ben poco, non parliamo poi per Alberto Sordi, lasciato quasi nel dimenticatoio.
Youtube e Youtuber hanno soffocato tutto o quasi come uno Tsunami più commerciale che intellettuale.
E così dobbiamo accontentarci di rivedere questi “mostri sacri” del nostro cinema come Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Gastone Moschin, ma anche Franco Franchi, Paolo Panelli, Aldo Fabrizi, Mario Brega, Adolfo Celi e tutti quelli che ora non posso elencare per ragioni di testo, dimenticati o quasi, mandati in onda nelle TV, spesso locali, in quegli orari indefinibili in cui si sta svegli per insonnia o a casa perchè disoccupati.
Ciccio Ingrassia è stato un grande attore che insieme a Franco Franchi ha dato vita ad una delle coppie più longeve e popolari del cinema italiano. La sua storia, come le tante dei grandi di un tempo, è fatta di una infanzia di miseria; miseria in cui la strada faceva da palcoscenico e da teatro non solo per esibirsi ma anche per crescere artisticamente. Fu Domenico Modugno a scoprire la coppia che esordì nel cinema con una piccola parte nel film di Mario Mattoli “Appuntamento ad Ischia”.
Da li l’inizio di una carriera che affermò Ciccio e Franco per circa 40 anni in cui fecero ben 150 films.
Molti della mia generazione li ricordano per il Gatto e la Volpe nel “Pinocchio” di Comencini con Nino Manfredi e Gina Lollobrigida.
Ciccio Ingrassia vinse anche un Nastro d’Argento per un ruolo nel film di Petri “Todo Modo” e lavorò anche con grandi registi come Pasolini, De Sica e Fellini nel surreale e straordinario “Amarcord”, ma anche con i Fratelli Taviani in “Kaos” . Diresse il suo compagno di scena, Franco Franchi, nel lungometraggio “Paolo il Freddo” e fece la regia anche dell ‘ “Esorciccio” scoprendo un talento straordinario che oggi conosciamo come Lino Banfi. A metà degli anni ’80 Ingrassia aveva intrapreso una carriera teatrale importante e di successo, e nel 1992 soffrì non poco per la scomparsa del suo compagno di scene Franco Franchi, con il quale ci furono anche momenti di vivace incomprensione. Morì tra l’affetto dei suoi cari nell’aprile del 2003 ed oggi, anche con un pò di commozione, rammentando di averlo conosciuto in un incontro di lavoro con mio padre, mi è grande il piacere di ricordarlo in questo umile mio scritto.
(foto gentilmente concessa da Tetramax Movie Services – tutti i diritti riservati)
Prolungamento della mostra fino al 2 dicembre 2018, nuove opere e sonorizzazione “d’artista” ad arricchire l’esposizione Roma città moderna A partire da ottobre, in mostra nuovi capolavori di Tomaso Binga, Osvaldo Peruzzi, Fausto Pirandello, Enrico Prampolini, Giulio Turcato
Riproduzioni di tavole antiche, giochi e pannelli didattici, per indagare le origini e il significato di un passatempo oggi celebre in tutto il mondo, ma nato proprio in Italia alla fine del XVI secolo
Dal 6 ottobre al 30 dicembre 2018
Roma, 1 ottobre 2018 – Dietro uno dei giochi più tradizionali di sempre, considerato oggi un semplice passatempo per bambini, si nascondono in realtà una storia centenaria e significati simbolici senza tempo. Il Gioco dell’Oca, il più classico dei giochi di percorso, è il protagonista della nuova mostra ospitata dal 6 ottobre al 30 dicembre 2018 alla Casina di Raffaello, Spazio Arte e Creatività di Roma Capitale, Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità Solidale, gestito in collaborazione con Zétema Progetto Cultura.
L’esposizione “Il Gioco dell’Oca. Storia e significato di un gioco senza tempo”, organizzata da Le Macchine Celibi soc. coop., intende indagare le origini e il significato di un passatempo oggi celebre in tutto il mondo, ma nato proprio in Italia alla fine del XVI secolo. Avvalendosi della collaborazione scientifica della storica dell’arte Patrizia Giamminuti, che nel 2016, con una ricerca sul tema, ha vinto il Premio Gaetano Cozzi per saggi di storia del gioco (Fondazione Benetton Studi Ricerche), viene proposto un percorso che, attraverso l’esposizione di riproduzioni di tavole antiche, conservate nelle collezioni di alcuni tra i più celebri musei del mondo, come il British Museum di Londra, ma anche attraverso giochi e pannelli didattici, illustra la storia e il significato del Gioco dell’Oca, a partire dalle testimonianze più antiche e dal significato simbolico dell’oca. Tra gli oggetti in mostra, ci sarà anche un libro interamente dedicato a questo passatempo, grazie alla collaborazione di Casina di Raffaello con l’Istituzione Biblioteche di Roma, in particolare con la Biblioteca Centrale Ragazzi.
Una sezione della mostra è poi dedicata alle reinterpretazioni contemporanee, che continuano a rispettare lo schema e le regole principali del gioco tradizionale, con alcune varianti, come nel caso de Il gioco del volo dell’oca dell’artista Maria Lai, diventato anche un’installazione permanente presso il Museo dell’Olio della Sabina, o del Gioco dell’Oca creato da Studiolabo e illustrato da Stefano Marra, oggetto-icona della comunicazione dell’edizione 2017 del Brera Design Districtdi Milano e ispirato all’insegnamento di Bruno Munari: “Progettare è un gioco, giocare un progetto”.
Completano il percorso espositivo alcune tavole selezionate, disegnate e colorate a mano, e un gioco in scatola progettati e realizzati dall’architetto Stefano Ferrante, grande appassionato di giochi dell’oca, che per l’occasione metterà a disposizione dei bambini che parteciperanno ai laboratori un tabellone originale, da lui disegnato.
La mostra sarà infatti accompagnata dal laboratorio Gioca con l’Oca, destinato agli studenti della Scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado e al pubblico di Casina di Raffaello, durante il quale i bambini potranno realizzare un tabellone personalizzato completo di pedine e dadi.
Puntata del 1 ottobre 2018
In questa puntata abbiamo intervistato Gianluca lanzi consigliere del Partito Democratico nel XI municipio e con lui abbiamo discusso di Carte di identità in ritardo, di servizi sociali soppressi e di instabilità del Municipio.
Buon Ascolto
Una passeggiata per le vie del centro storico dell’Avana è una maratona sensoriale. I colori si susseguono vibranti, valorizzano le case altolocate e animano gli spazi dismessi del passato coloniale. Anche le crepe del loro intonaco diventano una fantasia astratta, trama di un’affascinante fatiscenza urbana esaltata dalla luce caraibica. L’eco della musica dal vivo è colonna sonora della città e rimbomba in ogni dove seguendo il ritmo perfetto di suonatori incalliti. Persino quando pensate di rilassarvi in un locale e riposare i sensi, arriva pungente l’odore della menta fresca a confondervi l’olfatto, prima di essere immersa in bicchieri ghiacciati traboccanti di mojito che accenderanno il vostro tatto e gusto. Un turbinio di piacevoli sensazioni in simbiosi con il vortice dei ventilatori sopra le vostre teste, l’autunno e l’inverno caraibico sono agli antipodi dalle nostre consuetudini.
La Habana Vieja è un susseguirsi di sensazioni ed emozioni. Incredibili fasti si alternano a caseggiati fatiscenti, un quadro affascinante di inspiegabile e armonica bellezza. Un ossimoro architettonico che quasi per paradosso viene considerato uno scrigno inestimabile: racchiude la più bella e ricca edilizia di tutte le Americhe. La città vecchia conta più di 900 edifici di rilevanza storica, imbellettati dai fronzoli barocchi o modellati dalle linee sofisticate dell’art decò. Ogni angolo e pertugio della Habana Vieja racconta una storia, c’è da perdersi nel suo dedalo per l’urbanistica contorta e per la suggestione continua. Una valida strategia per orientarsi è individuare sulla mappa le quattro piazze principali: Plaza de la Catedral, Plaza de Armas, Plaza Vieja e Plaza de San Francisco de Asís. I tasselli più grandi di un mosaico tutto da scoprire.
Le quattro piazze principali dell’Avana Vecchia
La Plaza de la Catedral è un elegante salotto cittadino circondato da edifici del 1700. Si apre ai visitatori come uno splendido palcoscenico dove ammirare la cattedrale barocca de San Cristóbal de la Habana. Una tappa del credo cattolico che affascina anche i cercatori d’arte e meraviglie: la sua facciata si descrive in un rincorrersi di dettagli minuziosi che quasi affaticano l’occhio, a contrasto dei due evidenti campanili laterali di altezze diverse. La chiesa venne costruita dai Gesuiti nel 1748 e i lavori vennero terminati nel 1787, anno che coincise con la creazione della diocesi dell’Avana. Grazie a questa coincidenza, la chiesa venne elevata a rango di cattedrale e oggi è la più importante di tutte la Americhe. Al suo fianco troviamo la Casa de Lombillo del 1741, un tempo sede dell’ufficio postale. A testimoniare la sua storia, è ancora funzionante la cassetta delle lettere, un mascherone in pietra incastonato nel muro, una “bocca della verità” caraibica non solo ornamentale. La piazza ospita un magnifico quadrilatero irregolare di palazzi storici come il Palacio de los Condes de Casa Bayona del 1720, sede del Museo de Arte Colonial e il Palacio de los Marqueses de Aguas Claras del 1760 che ospita il rinomato Restaurante Paris.
La Plaza de Armas è la più antica dell’Avana e risale al 1520, poco dopo la fondazione della città. Il suo nome, “Piazza d’Armi”, rimanda alle esercitazioni militari che si svolgevano del XVI secolo, un toponimo che lascia intuire la vicina presenza del Castillo de Real Fuerza, una delle mete più note di tutta la città. La fortezza si erge imponente a lato della piazza, protetta da un fossato navigabile. La sua posizione rivolge verso il mare, punto strategico che descrive la sua funzione di vedetta nella storia, oggi sede del Museo de Navegación. Attraversiamo la piazza per visitare il Museo de la Ciudad, nel Palacio de los Capitanes Generales del 1770, un almanacco a due piani che racchiude le tappe della storia cubana del XIX secolo. I salotti della magnificenza coloniale ospitano cimeli e fotografie di repertorio come la testimonianza su pellicola dell’affondamento della corazzata statunitense Maine nel porto della città nel 1898. Dopo la visita rilassatevi all’ombra delle palme reali su qualche panchina nel giardino al centro della piazza, oppure sfogliate i libri delle bancarelle che la costeggiano, un’alternativa alla complicata ricerca di una connessione wireless.
Un viaggio all’Avana è storia e relax pre 2.0, è il piacere delle piccole cose e delle sensazioni sopite come odorare il profumo di cocchi appena aperti, dei sigari ardenti, dell’odore di benzina e quello del mare che si esalta sempre più in Plaza de San Francisco de Asís situata di fronte al porto dell’Avana. Realizzata nel XVI secolo per l’attracco dei galeoni spagnoli che facevano tappa nella tratta dalle Indie alla Spagna, include la maestosa chiesa barocca di San Francisco de Asís che oggi apre le porte del suo monastero convertito a sala concerti, tra i migliori di musica classica della città.
Arriviamo alla quarta piazza, Plaza Vieja, la più eclettica di stili. Il barocco cubano, gusto ricorrente nella Ciudad Vieja, incontra in questo spazio l’estro art nouveau che richiama il genio creativo di Gaudí. Durante il regime di Batista, la piazza ospitò un parcheggio sotterraneo che ne aveva snaturato le forme. Venne restaurata nel 1996 e portata all’attuale splendore. Plaza Vieja è solo uno degli esempi virtuosi di conservazione e valorizzazione della città vecchia dell’Avana. La tutela di questo patrimonio architettonico si deve all’Oficina del Historiador de la Ciudad che dagli anni ‘70 riqualifica e valorizza il centro storico dell’Avana, un’azione strategica che ottimizza anche parte dei proventi del turismo. Una passeggiata per le sue piazze e le sue vie è un elogio alla bellezza reso possibile dall’impegno e dalla volontà dell’associazione che ha tamponato e arginato gli squarci degli scempi urbanistici di decenni. Si parte dalle quattro piazze principali per addentarsi in un dedalo a colori, suoni e profumi, un viaggio dei sensi.
Come arrivare all’Avana
Voli diretti da Milano Malpensa e da Roma Fiumicino gestiti da Blue Panorama Airlines e ai collegamenti Cubana de Aviaciòn da Roma Fiumicino. Alitalia effettua voli diretti da Roma Fiumicino.
Immagine copertina: Plaza de la Catedral e cattedrale barocca de San Cristóbal de la Habana.
Photo credits: Elena Bittante
Mentre la stragrande maggioranza delle persone cerca, nel web, sia personalmente che professionalmente, la propria sicurezza nel consenso degli altri, c’è una nuova categoria di professionisti che sono “fottutamente” strasicuri di se. Hanno talmente tanta autorevolezza e considerazione di se stessi che possono permettersi di ostentare le loro verità. E si perché le verità spesso fanno male e creano, a volte, invidia o dispiaceri e quindi si preferisce spesso vivere di menzogne.
Se leggiamo i commenti sotto i loro video che circolano su facebook o instagramm, c’è una moltitudine di gente che li insulta, li condanna e li giudica senza però provare le loro deficienze o eventuali truffe accertate, ma limitandosi a prenderli in giro per il modo di parlare, il taglio di capelli o per il tipo di maglietta che indossano.
E pare proprio che a questi professionisti 4.0 gliene freghi ben poco, anzi più vengono criticati e derisi e più continuano la loro missione senza star li a perder tempo a rispondere a chi li insulta o a giustificarsi.
Girano i loro video in posti meravigliosi, spiagge dei caraibi, appartamenti a Dubai, Senior Suite a Bangkok, ma anche al volante di Lamborghini, Rolls, Ferrari o comodamente in viaggio su aerei privati.
Può essere comprensibile che questo desta subito gelosia e invidia più che curiosità, ma una domanda bisognerebbe porsela e cioè: se fossero truffatori possibile che ancora l’Interpol non se ne sia accorta? Possibile che nessuno li abbia mai denunciati? Possibile che continuano a trasmettere pubblicamente il loro tenore di vita e parlano senza pudore dei loro fatturati senza che la finanza li colga in difetto, mentre noi piccoli mortali abbiamo paura di una cartella Equitalia da poche centinaia di Euro?
Io un’idea me la sono fatta, ma non stando comodamente sul divano di casa a “#zappingare” (termine da me lanciato per vedere se avrò successo con un #) sul proprio I-Phone saltando da un video all’altro di questi “guru”, ma perchè ho frequentato alcuni loro corsi, ho pagato qualche seminario e ho dedicato al fenomeno almeno un paio di anni.
Oggi posso dire che, questi ragazzi (sono infatti tutti giovanissimi o quasi) hanno capito molto bene tre cose:
a) le potenzialità di internet ed in modo strategico dei social;
b) cosa è il marketing, mentre tu che se studi alla migliore università italiana e ti laurei con una tesi su questo, anche se poi ne esci con lode, avrai il cervello talmente condizionato dalle nozioni da dimenticare, solo dopo un mese, perchè ti sei laureato;
c) di cosa hanno bisogno oggi il 95% delle persone di qualunque età e di qualunque fascia sociale.
E con queste tre cose sono riusciti nel giro mediamente di tre o quattro anni a fare risultati e fatturati da capogiro.
Per molti di noi è molto difficile comprendere questo tipo di professione, vuoi per tradizione, vuoi per educazione, vuoi anche per l’età. Questi invece hanno capito bene come far funzionare con profitto sia i nuovi strumenti internet (come i social appunto) sia le nuove tendenze.
Sanno perfettamente come funziona il mercato e come fare non i soldi, ma una barca di quattrini. Sanno comunicare e tecnicamente sono infallbili. Riescono a volte a creare nuovi fenomeni e a volte nuovi “fenomeni da baraccone” che credono di emularli con un semplice video girato in vacanza e poi sponsorizzato su facebook.
Il loro lavoro è costante, la loro comunicazione diretta e a volte sfacciata. Sono abili venditori, ma questo non è un reato, anche se in Italia il venditore è stato sempre considerato un mestiere di serie C…ma i soldi si fanno vendendo (ed io lo dico da una vita), vendendo prodotti, la propria arte, la propria musica, le proprie invenzioni, le proprie creazioni, i propri vini, le proprie ricette e oggi più che mai se stessi.
Infatti, alla base, c’è il segreto di creare un brand attorno a se stessi e poi vendere ciò che si propone e di cui il mercato ha bisogno e oggi il mercato ha bisogno di due cose sostanzialmente: denaro e una vita più vivibile. Ecco allora che già nei loro video non si vedono uffici con scrivanie in radica, supponenti librerie e diplomi attaccati alle pareti, ma il lusso e la semplicità insieme. Si può indossare un T-Shirt da 5 dollari e vivere in un appartamento di una torre di Dubai e da li lanciare video che spiegano come si guadagnano 100.000 dollari al mese.
Ma è davvero possibile guadagnare così tanto?
Certo che se abbiamo in mente di prostituirci al politico di turno o attendere il prossimo concorso per il tanto agognato posto fisso da 1000 euro al mese, o mettere insieme i requisiti per ottenere il reddito di cittadinanza, beh ci è diffcile comprendere il lavoro di questi signori.
Poi, secondo me, prima di criticare e condannarli, questi nuovi imprenditori, bisognerebbe guardare lo stipendio regalato da noi contribuenti al portavoce del nostro Presidente del Consiglio oppure quello dei calciatori che per tre ore di partite alla settimana e con riusltati da zero possono permettersi Yacht e Ferrari.
E allora perché dare addosso a questi “yuppies del terzo millennio” e non andare invece a studiarne e capire gli elementi del loro straordinario successo?
Io l’ho fatto e mi sono accorto che quello che fanno non è per niente facile, ma assolutamente credibile. E per questo invito i tanti ragazzi dai 10 anni in su che sono “drogati” o “depressi” da social e di internet, che perdono tempo davanti a giochi, curiosità o a farsi i cavoli altrui, a dedicare più intelligentemente il tempo per comprendere quale potenzialità hanno oggi i social network e quanti lavori con essi si possono creare.
Mi rivolgo allora ai giovani e meno giovani come i miei coetanei, al di la del diventare ricchi, ricchissimi o praticamente in mutande (citando il titolo di un famoso film del 1982 di Sergio Martino), il consiglio che do è: dedicate tempo, tanto tempo a navigare, studiare, provare, sperimentare, leggere, copiare, vedere, ascoltare, partecipare, condividere su internet tutto ciò che potrebbe interessarvi dal punto di vista del profitto, dedicando solo due o tre minuti alle cialtronerie da gossip e vi assicuro che ne scoprirete delle belle… con il tempo e con un pò di fortuna si intende.Area degli allegati