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CULTURA - page 136

La cultura italiana in tutte le sue forme dalla letteratura al cinema, dalla scultura al teatro

Teatro Lo Spazio, sono partita di sera

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“Sono partita di sera” è una storia “lieve, lieve” come l’anima della donna che la racconta.

Una storia su una Roma che non c’è più. Non c’è più come la voce della più grande artista romana di tutti i tempi: Gabriella Ferri. La donna sul palco si racconta ed ha una voce splendida e potente e le canzoni saranno sì quelle di Gabriella, ma non a caso si è scelto di NON richiamare l’attenzione con il nome della grande artista testaccina nel titolo. Il nome dell’Artista vuole essere onorato, non “usato”.

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Il Selfie prima del selfie, a 55 anni le cabine per fototessera cambiano vita

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Le cabine per fototessera, pezzi di storia del nostro Paese che dagli anni ’60 fotografano le facce degli italiani e sono ormai parte integrante della nostra geografia urbana, diventano punti di stampa universale. E danno il via a una vera e propria rivoluzione tecnologica calata nel quotidiano che coinvolgerà tutti.

Dedem Spa, l’azienda che produce ad Ariccia e gestisce le cabine per fototessera di tutta Italia scattando ogni anno oltre 10 milioni di foto, lancia ImpressMe. Una rivoluzionaria app che da questo mese renderà possibile stampare con un semplice click tutte le foto salvate su tablet e telefonini in qualsiasi cabina per fototessera: un modo per trattenere i nostri ricordi, materializzandoli ovunque ci troviamo.

«Oggi — spiega Riccardo Rizzi, Presidente del Gruppo Dedem— si fanno centinaia di fotografie in più rispetto alle canoniche 30 dei vecchi rullini, anche se la maggior parte, se non tutte, rimangono sul cellulare o sul tablet. Per questo abbiamo pensato che fosse un’esigenza e un piacere avere la possibilità di svilupparle in formato cartaceo, in modo semplicissimo. Da qui è nata ImpressMe». Un software del tutto innovativo che in qualche modo strizza l’occhio al passato e in un mondo sempre più digitale offre un tributo alla carta, una app che avrà un impatto forte sulle nostre abitudini quotidiane, un modo per tornare a rendere fisico l’immateriale delle centinaia di foto che scattiamo con gli smartphone.

Per festeggiare ImpressMe, Dedem Spa organizza – giovedì 17 maggio dalle ore 15 all’Ara Pacis di Roma– una giornata di studidedicata al “selfie prima del selfie”, un convegno dal titolo “La fototessera. L’automatismo fotografico prima del selfie”, un omaggio corale alla storia della cabina per fototessera, ma anche all’istinto ad autoritrarsi che, già un secolo prima del selfie-boom, aveva trovato, in quella scatola magica separata dal mondo esterno soltanto da una tendina, uno stimolo all’evasione e alla sperimentazione.

Un programma ricco di interventi di studiosi e specialistiche raccontano come sia iniziata e si sia poi evoluta la storia della cabina per fototessera, dai primi esempi di valorizzazione dell’automatismo fotografico ottocentesco fino al brevetto della photomaton. A dare testimonianza della fototessera come fenomeno estetico e di costume, e della cabina come spazio privato immerso nello spazio pubblico, la presenza del Maestro Franco Vaccari, l’artista che con la sua Esposizione in tempo reale, presentata nel ’72 alla biennale di Venezia, affascinò tutti con un’opera d’arte interattiva, in cui i protagonisti erano la cabina, le sue fototessere e il catalogo degli oltre 5000 volti chiamati a lasciare una traccia fotografica del loro passaggio.

Nel corso del pomeriggio, il Centro Romano di Fotografia e Cinemapresenta il progetto didatticosu selfie e fototessere: «Dedem  – spiega la direttrice Carla Magrelli– ha posizionato una delle sue cabine per fototessera all’interno del Centro Romano di Fotografia….gli studenti hanno creato immagini, selfie, realizzato vere e proprie opere d’arte, documentato il tutto con un video. Per due mesi il gioco è stato inarrestabile, dagli studenti ai professori, ai visitatori: nessuno ha potuto resistere al fascino del “selfie prima del selfie”».

L’attore e regista Paolo Ruffini, anche lui sedotto dal carisma della cabina, conclude il pomeriggio con un monologo su selfie e fototessere. «Ho sempre pensato che quella cabina fosse una sorta di scatola magica. E questo ultimo stratagemma è in effetti una magia vera e propria: sputare fuori i nostri ricordi per riconsegnarceli materializzati. Adesso di foto ne auto-scattiamo milioni ma quel flusso isterico di frammenti digitali che inondano le nostre gallerie sul telefono, senza un album che li conservi con un senso, senza una parete che li faccia rivivere ogni giorno… va a finire nel dimenticatoio. E invece eccolo che stampato, il flash di quel momento, ci tiene compagnia in tutt’altro modo!».

Sulla scia creativa del maestro Vaccari, quello stesso giorno dalle 19.30, presso Daforma Gallery, a Roma, in via dei Cappellari 38, iParasite 2.0presentano in anteprima la “cabina d’autore”. Questo giovane, pluripremiato collettivo di architetti, con alle spalle due Biennali di architettura e molte mostre all’estero, svela il progetto di trasfigurazione del tradizionale e ormai iconico photo booth in un oggetto totemico di culto dall’identità rinnovata, che non tradisce le sue forme originali ma le mantiene in una veste surreale e fortemente contemporanea. I Parasite 2.0 hanno ideato una sinuosa crisalide in metacrilato fumé in grado di ripensare geometria e presenza del macchinario, proiettandolo in un immaginario futuristico e al contempo ancestrale.Un primo passo verso una nuova generazione di “cabine d’autore”, che saranno destinate a musei e festival di musica e arte contemporanea, nonché diffuse in punti strategici delle principali città d’Italia.

 

 

C’era una volta il giocattolo

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A Roma chiude Il Birillo. Un negozio come di quelli di una volta, il negozio di giocattoli, come quelli con cui si giocava una volta, dove i ragazzi delle generazioni a cavallo di due millenni si sono alternati per comprare quei fantastici compagni di viaggio con cui hanno sognato, costruito castelli, inventato storie. I giocattoli. Chiude non perché oggi si giochi online, tutti connessi, ognuno a casa propria. Chiude perché il titolare ci ha lasciati, portando avanti fino all’ultimo soffio di vita la sua impresa di mantenere vivi i giocattoli.

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una lupa, due bimbi e un colle

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La capitale del mondo festeggia oggi i suoi primi 2.771 anni: Roma, così definita per la sua potenza e dimensione raggiunta durante il periodo dell’Impero Romano, la “Beatam urbem Romanam et invictam et aeternam” (città fortunata, invincibile ed eterna) di Tito Livio (Ab urbe condita, I sec.), meta da sempre ambita da tutto il mondo. Non a caso il detto “Tutte le strade portano a Roma”rispecchia sia la facilità sia il desiderio di raggiungerla almeno una volta nella propria vita. Diceva Giuseppe Garibaldi nel 1870: “Oh! Roma! Patria dell’anima! Tu sei veramente la sola! L’eterna! Al disopra d’ogni grandezza umana” (Clelia o Il governo dei preti).

Secondo il famoso racconto mitologico, Roma fu fondata da Romolo il 21 Aprile del 753 A.C., salvato da una lupa insieme al suo gemello Remo. Sviluppatasi strategicamente intorno al colle Palatino, si estese man mano agli altri colli Aventino, Campidoglio, Quirinale, Viminale, Esquilino e Celio e l’Isola Tiberina. Alberto Angela, nel suo libro “Una giornata nell’antica Roma” (2007), la descrive come “in perenne espansione, da generazioni. Ogni imperatore l’ha abbellita con nuove costruzioni e nuovi monumenti, cambiando gradualmente il volto della città. A volte, invece, il suo volto è cambiato radicalmente, anche a causa degli incendi, molto frequenti. Questa continua trasformazione di Roma proseguirà per secoli, con il risultato di farla diventare già nell’antichità un bellissimo “museo” all’aperto di arte e di architettura“.

Fu Augusto a dare un nuovo volto a Roma, rendendola una città monumentale: “Ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo” (cit. Svetonio in “Vite dei Cesari”, II sec.). Imperdibile a Roma una passeggiata nel cuore della storia, ai Fori, inaugurati nel 46 a.C. con la piazza voluta da Cesare e terminata da Augusto. Apre proprio oggi la nuova stagione per visitare i Fori dedicati ai due imperatori, accompagnati dai racconti dei VIAGGI NELL’ANTICA ROMA cura di Piero Angela e Paco Lanciano. Un’esperienza unica dove le pietre raccontano la storia della più grande metropoli dell’antichità con una ricostruzione, non priva di effetti speciali, fedele dei luoghi e della vita di allora, quando si contavano più di un milione di abitanti. Una cifra enorme se si pensa che Roma tornerà ad avere quel numero a metà del XX secolo. Oggi, con oltre 2.800.000 abitanti, Roma si attesta come il comune più popoloso d’Italia e in Europa il quarto dopo Londra, Berlino e Madrid.

Tornando all’antichità, a proposito di Cesare, reputato da alcuni storici il primo vero imperatore romano, per secoli si è ritenuto che soffrisse di epilessia, considerata all’epoca il «morbo sacro». Tuttavia, il riesame delle sue condizioni di salute a partire dal lavoro scientifico del medico paleopatologo dott. Francesco Maria Galassi, di cui si legge nel libro Julius Caesar’s Disease (2015), sta aprendo una nuova breccia negli studi sui suoi ultimi anni di vita. Come afferma lo stesso Galassi:

“Per lungo tempo gli storici hanno creduto Cesare epilettico. Lo studio dettagliato delle fonti antiche con un approccio filologico-clinico ha invece ribaltato la credenza. Solo Plutarco, storico greco, ritiene l’epilessia tratto caratteristico della vita di Cesare, mentre la fonte latina, Svetonio, parla di una malattia cesariana solo sul finire della vita dello stesso. Un’ipotesi cerebrovascolare nella forma di mini-ictus è molto più realistica e compatibile sia con l’età del soggetto (56 anni alla morte, avanzata per l’epoca) con il background di patologia cardiovascolare nella famiglia di Cesare (il padre ed un progenitore morirono improvvisamente senza alcuna spiegazione e la descrizione delle loro morti è quella tipica di una morte cardiaca improvvisa). La mattina delle Idi di Marzo Cesare era molto debole, in seguito ad un episodio patologico occorso durante la notte. Le fonti poi parleranno di presagi divini a causare un turbamento in Cesare e una esitazione se recarsi alla seduta del Senato, ma una spiegazione patologica è molto più concreta. Ma se Cesare non era epilettico, perché il mito della sua epilessia ha avuto tanto successo? Cesare – o Ottaviano dopo di lui – molto probabilmente, non potendo negare la malattia del dittatore, scelsero di diffondere la spiegazione epilettica perché l’epilessia all’epoca non era solo considerata una punizione divina ma una condizione associata a personalità geniali e eroiche”.

Dalla paleopatologia ci arrivano informazioni utili alla comprensione delle malattie e, a proposito dell’alimentazione degli antichi romani e dell’impatto sulla loro salute, l’esperto Francesco M. Galassi, intervenuto nel recente congresso nazionale di medicina e pseudoscienza CNMP 2018 tenutosi a Roma ai primi di aprile, riferisce come le patologie cardiovascolari fossero presenti anche nell’antichità:

“La società dell’Antica Roma, come anche quella greca e quella egizia, rappresenta un eccellente modello di studio delle malattie nell’antichità. A differenza della nostra, esistevano profonde differenze fra le classi sociali a livello di alimentazione, sebbene grano, olive ed olio d’oliva fossero consumate da tutte le componenti della società e contribuissero ad apportare un numero maggiore di calorie dietetiche. Le classi agiate, chiaramente, avevano una dieta ipercalorica e, quindi, in certa misura, paragonabile a quella della popolazione occidentale contemporanea. Questi regimi dietetici sicuramente avevano un ruolo importante nella genesi di patologie multifattoriali croniche tipiche dell’età avanzata, quali le malattie cardiovascolari. Le opere di Galeno e di Areteo di Cappadocia, per esempio, documentano con grande dovizia di particolari patologie cardiache, quali ictus e infarto cardiaco, o l’obesità. Le classi più svantaggiate, invece, soffrivano spesso di carenze nutrizionali, le peggiori delle quali potevano manifestarsi nell’età dello sviluppo”.

La storia ci lascia testimonianze di vite, costumi e usanze ma anche insegnamenti tuttora preziosi. Il periodo dell’antica Roma era caratterizzato da battaglie cruenti, come quelle raffigurate sull’Arco di Costantino, accanto al Colosseo, realizzato per onorare la vittoria dell’Imperatore Costantino su Massenzio, nella battaglia del 312 d. C. di Ponte Milvio. Una lezione importante della storia è quella che ricorda il ricercatore Francesco M. Galassi rispetto all’attuale dibattito sulle vaccinazioni nel suo recente volume “Un Mondo senza Vaccini? La vera storia” (2017):

“I nostri avi, compresi gli antichi Romani, vissero in un mondo in cui patogeni responsabili di gravissime e mortifere malattie infettive erano liberi di agire indisturbati. Le terapie dell’epoca erano risibili. Spesso, paradossalmente, era molto maggiore il numero di decessi cagionato dalle infezioni susseguenti alle ferite riportate in battaglia di quello derivante dai fendenti dei nemici. Non esistevano soprattutto i vaccini, che costituiscono de facto una cesura tra due mondi, un vero e proprio Vallo di Adriano tra due epoche. Noi siamo in grado di prevenire, ossia di bloccare alla fonte, molte di queste malattie. Rifiutare la vaccinazione e tornare a quel mondo è semplicemente folle. Studiare la storia invece ci fa capire di quale vantaggi gode la nostra società a livello medico”.

Augurando lunga vita a Roma, l’auspicio per chiunque passi per questa città eterna è di provare ciò che descrive Johann Wolfgang Goethe in “Viaggio in Italia” (1813-17): “Comincio a gustare anche le antichità romane. Storia, iscrizioni, monete, tutte cose di cui non volevo sentir parlare, ora mi si accalcano intorno. Come già m’è avvenuto per la storia naturale, mi succede anche qui: perché in questo luogo si riallaccia l’intera storia del mondo, e io conto d’esser nato una seconda volta, d’essere davvero risorto, il giorno in cui ho messo piede in Roma“. Non soltanto un soggiorno di piacere ma anche una rinascita.

Cinzia Tocci

Roma,“Il mio mare”, dal 9 maggio la mostra personale di Roberto La Mantia

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L’esposizione, a cura di Miriam Castelnuovo, dell’artista laziale nato e cresciuto a Santa Marinella 44 anni fa verrà inaugurata mercoledì 9 maggio a Roma, presso La Città dell’Altra Economia, con il patrocinio della Regione Lazio e del I Municipio capitolino. Presentate circa 40 opere che ritraggono cernie, san pietro, dentici, murene, polpi e ricciole

“Sono un apneista, amo il mare in modo viscerale. Ma quello che amo è il mare sotto il pelo dell’acqua, un pianeta sconosciuto e inesplorato come un mondo extraterrestre dove non esiste gravità e si può volare senza ali”.

Sono le parole di Roberto La Mantia, artista nato e cresciuto a Santa Marinella sul litorale laziale 44 anni fa, a chiarire più di ogni altra cosa il luogo da dove trae ispirazione la sua arte che metterà in mostra, a cura di Miriam Castelnuovo, presidente dell’associazione “I Quattro Colori Primari”, presso i saloni della Città dell’Altra Economia dal 9 al 14 maggio 2018.

Circa 40 opere in cui le cernie, i san pietro, i dentici, le murene, i polpi e le ricciole passano da un ambiente all’altro senza soluzione di continuità. Le cornici, infatti, sono parte integrante dell’opera e sono realizzate anch’esse dall’artista utilizzando pezzi di vecchi legnami recuperati sulla spiaggia. La memoria si afferma allora come uno degli elementi di fondamentale supporto alla creatività dell’artista la cui urgenza egli rivela nel rimaneggiare materiali consumati dal tempo come testimoni emblematici di una ritrovata ricchezza, custodi indiscussi di altre storie del passato.

Le opere di Roberto La Mantia non si possono definire iperrealiste: se per alcuni si tratta di una tecnica pittorica comunemente considerata come l’esercizio di un virtuosismo stilistico, questo artista, appassionato di immersioni in apnea, ritrae con il pennello molto di più di quanto si potrebbe immaginare ascoltando un racconto oggettivo della realtà. Il suo lavoro è frutto di una passione coltivata fin da bambino come l’amore per il mare: al pari di un liquido sacro o di una fonte battesimale alternativa, al Mare Mediterraneo va il merito per aver sancito la fusione inscindibile tra l’animo sensibile e il forte spirito dell’artista e che trova conferma nell’approccio naturale con cui Roberto vive la propria quotidianità.

“Il mio battesimo col mare? È come se fossi passato dal liquido amniotico del feto all’acqua salata del mare sotto casa – afferma ancora La Mantia –. Prima di ogni tuffo mi rilasso praticando il training autogeno. Inizio la ventilazione con la respirazione pranayama, compio 3-4 atti respiratori profondi e poi la capovolta. Giù verso il blu”.

La Mantia ama sperimentare le diverse tecniche, dal più articolato acquerello su cemento su tela a quello su carta oltre che realizzare numerosi acrilici su tela: in ciascun caso ciò che sorprende è la verosimiglianza della specie ritratta a confronto con quella reale, il cui aspetto e i movimenti egli immortala al pari di un fotoreporter. L’artista perfeziona il suo stile attraverso l’esperienza acquisita durante le immersioni il cui ricordo, anche quando imperfetto e rarefatto, incarna tuttavia la fugacità di quell’esatto momento donando valore aggiunto all’opera.

La mostra “Roberto La Mantia – Il mio mare” è stata allestita con la consulenza scenografica di Morena Nastasi con il patrocinio della Regione Lazio e del I Municipio del Comune di Roma. Sono partners dell’iniziativa CAE La Città dell’Altra Economia, Vivere Impresa No Profit e l’Associazione Ambientalista Marevivo.

Teatro lo Spazio, “la capra Kant“ presenta “Martin Eden”

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Il prossimo 10 aprile debutta al Teatro Lo Spazio una interessantissima opera teatrale che racconta la difficile vita di un ragazzo del popolo, un marinaio il cui nome dà il titolo al romanzo, che lotta disperatamente per diventare uno scrittore, ispirato e sostenuto in questo dal suo amore per la “Bellezza” e per Ruth, una giovane figlia dell’alta borghesia di San Francisco.

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Alessandro Conte
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