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CULTURA - page 116

La cultura italiana in tutte le sue forme dalla letteratura al cinema, dalla scultura al teatro

App immuni e il mondo di Orwell

CULTURA by

Il Decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 30 aprile ha disposto l’utilizzo dell’App “Immuni” che verrà utilizzata per tracciare i contagi da Covid-19 e sarà disponibile per il download su Ios e Android. Questa applicazione utilizzerà la tecnologia Bluetooth e sarà sviluppata dalla software house Bending Spoons che annovera tra i suoi finanziatori – che sono da ricercarsi nel gotha globalista – la holding H14 di proprietà dei figli di Berlusconi, Renzo Rosso della Diesel che al Corriere della Sera ha fatto un dichiarazione sconcertante: «è tempo di rinunciare alla privacy e di farci tracciare da una App». 

Altre società che contribuiscono al finanziamento sono: la società Jackala in cui sono presenti Equity Club, la holding dei Marzotto e altri soci. Il fatturato di Jackala è di 250 milioni di euro e il suo fondatore è Matteo de Brabant, divenuto noto, nel 2016, per aver organizzato a casa sua una cena elettorale per Beppe Sala, candidato sindaco del Pd. 

Peccato che la sua Jakala Events avesse fatto “qualche lavoretto” per Expo 2015 del commissario Sala…L’ultimo nome poi è quello di Luca Foresti che guida la rete di poliambulatori “Centro medico Sant’Agostino” a Milano ed è vicino a Matteo Renzi, tanto da partecipare nel 2013 alla storica Leopolda che consacrò lo stesso Renzi premier.

Il premier Conte tuttavia ha assicurato che questo sistema informatico non sarà obbligatorio e garantirà l’anonimato e la privacy dei cittadini, non ci sarà la geolocalizzazione e i dati conservati – una sorta di diario clinico con informazioni su sesso, età, malattie pregresse e sullo stato di salute più in generale – verranno cancellati entro il 31 dicembre 2020.

Le assicurazioni del Governo in ogni modo ad alcuni commentatori giornalistici, uomini politici e persone comunihanno fatto sorgere dei dubbi e delle perplessità che questa App non sia altro che uno strumento di controllo sociale che, con la scusa della gestione della fase 2 dell’emergenza Coronavirus, hanno fatto affermare a taluni che ciò rappresenta una deriva “orwelliana” della politica italiana. 

Tuttavia già Google e Facebook e le loro applicazioni utilizzano sistemi di tracciamento e soprattutto il social di Mark Zuckerberg adotta una linea politicamente corretta e contraria ad ogni forma di dissenso dalla policy stabilita dall’imprenditore statunitense di religione ebraica.

Inoltre App simili esistono in altri paesi esteri come Israele, Corea del Sud e Singapore.

Non moltissimi conoscono però l’opera principale di George Orwell (1903-1950) che è sicuramente 1984 pubblicata nel 1949 a Londra, presentata per i lettori italiani a cura di Mondadori e ristampata molte volte sempre dalla casa editrice milanese.

Ci troviamo nella Londra del 1984. Il mondo è diviso in tresuperstati (Oceania, Eurasia ed Estasia) simili e in guerra tra loro. In Oceania la società è governata dal Socing, Il Socialismo Inglese, dal Grande Fratello che tutto vede e tuttosa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nelle case, il suo braccio la psicopolizia che interviene al minimo sospetto. Tutto è permesso, non c’è legge scritta. Tranne pensare, secondo il Socing. Tranne amare, se non per riprodursi. Tranne divertirsi se non con i programmi TV di propaganda. Dal loro rifugio, in un desolante scenario da Medio Evo postnucleare, «l’ultimo uomo in Europa» (questo è il titolo che avrebbe preferito l’Autore britannico nato nel Bengala) Winston Smith e la sua compagna Julia lottano disperatamente per conservare un granello di umanità.

Oggi che il day after è già arrivato e il 1984 è ampiamente passato, si può leggere o rileggere il romanzo per scoprire che cosa Orwell ha previsto di questi nostri anni. 

L’annullamento delle differenze ideologiche tra le superpotenze, la tecnologia alienante come mezzo di controllo sociale, la persecuzione degli oppositori politici in tutto il mondo da parte di stati totalitari di ogni orientamento politico ereligioso, la strumentalizzazione e la manipolazione dei mass-media o che altro?

Molto più che saggio è certamente da raccogliere il suo grido d’allarme contro l’indifferenza che tollera forze annichilenti, qualunque esse siano e in qualunque tempo esse si manifestino. La maggior intuizione orwelliana e la sua grandiosa fantasia di profeta visionario è quella che non dovrebbe oscurarne il carattere di monito per ogni futuro perché la libertà e la dignità individuale.

Per tornare a chi elargisce i soldi alla Bending Spoons e cioè figli di Berlusconi e imprenditori legati al Pd o a Matteo Renzi… Voi davvero mettereste i vostri dati personali in mano loro?

IL GIARDINO DEL TEMPO CHE PASSA

dal libro: “Un grande giardino” di Gilles Clément e Vincent Gravé (ed. Rizzoli)
progetto nato all’interno de La città lontana di triangolo scaleno
di e con
Tamara Bartolini e Michele Baronio
assistente compagnia e fotografia Margherita Masè
produzione Bartolini/Baronio | 369gradi

8 marzo ore 16.00 TEATRO | DOMENICHE D’INCANTO – ingresso 5 euro

«Ci sono luoghi che sembrano resistere meglio a una distruzione lenta e apparentemente inevitabile. […] In questi luoghi l’esperienza
della bellezza, del mistero vivente dell’essere è ancora accessibile ai comuni mortali» Gilles Clément

Il giardino del tempo che passa parte dalle suggestioni che il libro “Un grande giardino” ci ha regalato: ripassiamo il calendario, i mesi e le stagioni, per scoprirci giardinieri di questo nostro pianeta. Ci svegliamo e impariamo a salutare ciò che abbiamo intorno, a seminare, a far tesoro di tutto -di una persona smarrita, come di una pianta spontanea che resiste nonostante i gas della città-, regaliamo fiori, e ci innamoriamo anche, sempre curiosi di ogni diversità, ovviamente: perché ci sono alberi individualisti, alberi molto socievoli, erbe selvatiche sempre in lotta con altre piante ed erbe spontanee che non vedono l’ora di abbracciarti.

È la costruzione di un piccolo giocattolo letterario, fatto di parole sussurrate al microfono, musica e suoni lavorati con la loop station e immagini create live con la lavagna luminosa che si ispireranno alle illustrazioni del libro stesso. È un piccolo omaggio, uno sguardo immaginifico su un angolo del Giardino Planetario di cui scrive Clément e dandogli voce, ci inoltreremo con cura da giardinieri nel giardino che ha le origini più lontane, scandendone il tempo, ascoltandone le stagioni mese dopo mese, e scoprendo la vitalità di tutte le creature che lo abitano.
Per guida il libro illustrato per bambini di ogni età firmato da Gilles Clément e Vincent Gravé (ed.Rizzoli): un albo poetico e visionario.

Consigliato dai 4 anni in su.
Per informazioni e prenotazioni: info@spaziorossellini.it
Tel 3452978091
Spazio Rossellini via della vasca navale 58 – Roma

SHAKESPEAROLOGY UN’INTERVISTA IMPOSSIBILE A WILLIAM SHAKESPEARE

concept e regia Sotterraneo
in scena Woody Neri
scrittura Daniele Villa
luci Marco Santambrogio
costumi Laura Dondoli
sound design Mattia Tuliozi

produzione Sotterraneo
sostegno Regione Toscana, Mibact

residenze artistiche Centrale Fies_art work space, CapoTrave/Kilowatt, Tram – Attodue, Associazione Teatrale Pistoiese

***Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory, del network europeo Apap – Performing Europe 2020 ed è residente presso l’Associazione Teatrale Pistoiese***

trailer video 
https://vimeo.com/352223049

Dice Jerome Salinger: “quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono”. È da un po’ di tempo che volevamo usare il teatro come quella famosa telefonata, per incontrare Sir William Shakespeare in carne-e-ossa e fare due chiacchiere con lui sulla sua biografia, su cosa è stato fatto delle sue opere, su più di 400 anni della sua storia post-mortem dentro e fuori dalla scena – come se accompagnassimo Van Gogh al Van Gogh Museum o Dante in mezzo ai turisti che visitano la sua abitazione fiorentina.

Partiamo dall’immaginario collettivo per parlare con Shakespeare. Certo, non sarà il vero, autentico, originario William Shakespeare, ma se riusciamo a incontrare anche uno solo dei possibili Shakespeare, forse l’esperimento potrà dirsi riuscito.

Shakespearology è un one-man-show, una biografia, un catalogo di materiali shakespeariani più o meno pop, un pezzo teatrale ibrido che dà voce al Bardo in persona e cerca di rovesciare i ruoli abituali: dopo secoli passati a interrogare la sua vita e le sue opere, finalmente è lui che dice la sua, interrogando il pubblico del nostro tempo.

Spazio Rossellini 6 marzo ore 21.00
Biglietto intero euro 12 – ridotto euro 10

Biglietto studenti euro 8

Per informazioni e prenotazioni: info@spaziorossellini.it

Tel 3452978091
via della vasca navale 58 – Roma

RECENSIONI

Repubblica.it
di Valentina De Simone

visto a Kilowatt Festival 2019, Partecipare è normale, XVII edizione, Sansepolcro

Prima nazionale al Teatro della Misericordia di Sansepolcro, Shakespearology di Sotterraneo è un’incursione dissacrante ed esilarante nella figura di William Shakespeare e della sua arte, un one man show affidato al carisma e all’intensità interpretativa di Woody Neri. Sul palcoscenico vuoto, ad eccezione di uno sgabello nero decorato con una stella bianca, Neri in gorgiera e l’aplomb da rocker si fa avanti come un fantasma sbucato da un sogno e dialoga con le voci registrate di Sara Bonaventura, Daniele Villa e Claudio Cirri che lo incalzano di domande per riportarlo indietro agli episodi salienti della sua esistenza. Il matrimonio in giovane età, la paternità, il trasferimento a Londra, il crescente successo, lo Shakespeare di Neri canzona il pubblico con la sua narrazione compiaciuta e istrionica, inframmezzata da performance live alla chitarra acustica di grandi classici quali Desolation Row di Bob Dylan o Are You Lonesome Tonight? di Elvis Presley. L’eredità del Bardo ci conduce poi al cinema, con un’esilarante messa in scena in playback della morte di Mercuzio, replicando la sequenza di Romeo+Juliet di Baz Luhrmann. Neri intrepreta, al contempo, Leonardo Di Caprio e John Leguizamo, concedendoci, più tardi, una spassosa carrellata delle più celebri morti che Shakespeare ha destinato ai suoi personaggi. Dall’Inghilterra elisabettiana ai giorni nostri, con l’incertezza di un’arte, quella teatrale, in precariato continuo per la necessaria ricerca di finanziamenti. Shakespearology di Sotterraneo condisce l’orizzonte del divertissement con un affondo nei meccanismi stessi e nella pratica del fare teatro, messa in mostra, mentre è in azione, nei suoi dispositivi drammaturgici e di scrittura dei personaggi, nella relazione fra gli attori, nel coinvolgimento del pubblico. Un azzardo, il teatro, ieri come oggi, a cui però chiediamo ancora di farci scoprire l’ignoto.

TeatroeCritica.net
Sotterraneo. Il teatro senza Shakespeare è impossibile

di Alessandro Iachino

Ha debuttato a Sansepolcro, nell’ambito della XVII edizione di Kilowatt Festival, Shakespearology, nuova creazione di Sotterraneo

«Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira». È Holden Caulfield, lo studente ribelle e brillante, a sintetizzare in poche righe l’ineffabile esperienza di alcune, rare letture, quella relazione intima e necessaria, ancorché irreale, che soltanto pochi racconti sono in grado di stringere tra il lettore e lo scrittore. Posta in esergo a Shakespearology e pronunciata dalla voce off di Claudio Cirri, la citazione da Il giovane Holden sembra quasi istituire un cortocircuito di senso tra il Bardo – protagonista assoluto della nuova creazione di Sotterraneo – e J. D. Salinger; entrambi giganti della letteratura, entrambi parzialmente celati a qualsiasi sguardo panottico da zone d’ombra e reticenze, dal tempo e da un esilio autoimposto, i due sono forse accomunati anche da quelle narrazioni, spesso mitiche più che veridiche, che altri hanno tratteggiato a partire dalle loro, altrettanto misteriose, esistenze. Una volontà di disvelamento costituisce così l’istanza sottesa a questa produzione, presentata in prima nazionale al Teatro alla Misericordia di Sansepolcro durante la seconda giornata di Kilowatt Festival, diretto da Luca Ricci e Lucia Franchi: un tentativo, condotto secondo le consuete modalità dissacranti e avantpop di Sotterraneo, di raccontare William Shakespeare e al contempo quella galassia di stratificazioni che, a partire dalla sua opera, le arti tutte hanno contribuito a edificare. Di una shakespearologia, non a caso, si tratta: una risultante performativa di un approccio scientifico al proprio oggetto di indagine, un discorso che dal padre del teatro moderno prende le mosse, e che a esso sembra circolarmente – e doverosamente – tornare. È forse possibile immaginare il teatro senza William Shakespeare? Se la risposta negativa a questo interrogativo retorico sembra scontata, Sotterraneo sembra qui condurla alla sua più radicale conseguenza: lungi dall’essere soltanto necessario, l’autore dell’Amleto – ma anche delle bistrattate Allegre comari di Windsor – è qui eletto a condizione sufficiente dello spettacolo. Accantonati il sovraccarico di idee e il ritmo vorticoso di Overload, con Shakespearology il collettivo fiorentino mette in atto un processo sottrattivo, che riduce gli elementi scenografici – uno sgabello nero, decorato con una stella bianca – così come la varietà di soluzioni testuali, qui ricondotte a un dialogo tra le voci registrate degli stessi Sara Bonaventura, Daniele Villa, Claudio Cirri, e l’unico attore in scena. Evocato come un fantasma dal sogno – comune a ogni donna e ogni uomo di teatro – di potere condividere con lui chiacchiere e confessioni, William Shakespeare appare sul palcoscenico vuoto con attitudine da rocker, l’outfit aggressivo di una star della musica, e una filologica gorgiera che ne incornicia il volto e l’iconica capigliatura. Oggi, forse, il Bardo racconterebbe così le proprie storie, come un cantautore maledetto o l’avventore bislacco di un bar; oggi Woody Neri, quasi irriconoscibile, dona corpo ed energia al più grande drammaturgo di tutti i tempi, virando ora verso le tonalità della stand up comedy, ora concedendosi squarci lirici e commossi. Per meno di un’ora di durata – d’altro canto, come ci ricorda lo stesso Shakespeare quasi citando il tema cardine di Overload, la soglia di attenzione dello spettatore si è progressivamente e vertiginosamente accorciata – il drammaturgo, incalzato dalle domande, attraversa gli episodi salienti della propria vita: il matrimonio in giovane età, l’esperienza della paternità, il trasferimento a Londra, il crescente successo, la nascita della compagnia dei Lord Chamberlain’s Men e poi dei King’s Men. E tuttavia lo Shakespeare vulcanico di Woody Neri dileggia gli spettatori, affabula con compiacimento, mistifica e corregge le poche verità acclarate sul suo conto: inventa, come è naturale che sia, avventurosi episodi che sappiano conquistare la platea, ruba ad Anthony Burgess l’idea di un incontro fortuito con Miguel De Cervantes, inframmezza al racconto l’esecuzione alla chitarra acustica di classici quali Are You Lonesome Tonight? di Elvis Presley o Desolation Row di Bob Dylan. È in queste frequenti aperture rizomatiche che Shakespearology tradisce ogni quieta aspettativa sul suo fulcro concettuale, e rivela di essere una surreale mise en abyme, un divertissement che illumina, più ancora che la biografia del genio di Stratford-upon-Avon, la sua sterminata eredità transdisciplinare. Il cinema, in questo senso, appare esserne la manifestazione più evidente, in grado di condurre verso inaspettati esiti kitsch anche la straziante morte di Mercuzio: replicata in uno spassoso playback, la sequenza di Romeo+Juliet di Baz Luhrmann ambientata sulla spiaggia di Verona Beach è occasione per Woody Neri di interpretare, con trascinante istrionismo, Leonardo di Caprio e John Leguizamo, per poi incarnare un’esilarante antologia delle più celebri morti che Shakespeare stilò per i suoi personaggi. Ma Sotterraneo agisce il mash-up citazionista, a sua volta, come mero dispositivo atto a squadernare l’essenza stessa del “fare teatro”: ciò che Shakespearology compie, seppur nascondendosi sotto il mantello del più puro entertainment, è mostrare i meccanismi della costruzione drammaturgica, della scrittura del personaggio, della direzione degli attori, della creazione di una relazione con lo spettatore. A essere interrogato, più ancora che il fantasma di William, è lo statuto stesso di un’arte che da sempre sembra situarsi in pericoloso equilibrio tra la professione e la passione: oggi, così come nell’Inghilterra elisabettiana, sono la ricerca dei finanziamenti e il destino sempre incerto di uno spettacolo ad animare incubi e paure, a insinuarci il dubbio che in fondo il teatro non sia nient’altro che un azzardo. Eppure è al teatro che chiediamo, una volta ancora, di farci scoprire il rumore del mare: anche quando è a chilometri di distanza, anche quando non l’abbiamo mai ascoltato prima.

Reportcult.it
di Andrea Capecchi

Sotterraneo porta in scena una “chiacchierata impossibile” con Shakespeare

Pistoia – Cosa succederebbe se William Shakespeare tornasse per un’ora su un palcoscenico per raccontare al pubblico la propria vita?

Teatro Sotterraneo ha portato in scena al Funaro, in anteprima assoluta, “Shakespearology”, uno spettacolo “pop” che unisce autobiografia, indagine storica e letteraria, citazioni musicali e teatrali, dove la vita e le opere del Bardo – ma anche le profonde influenze che il suo teatro ha esecitato nei successivi quattro secoli – scorrono in una sorta di “chiacchierata impossibile” con “il più grande drammaturgo di tutti i tempi”. Un one-man-show scritto da Daniele Villa dove William Shakespeare – interpretato dal bravissimo Woody Neri – entra in scena con chitarra e occhiali scuri, intona un pezzo rock, inizia a dialogare con le voci fuori campo che lo invitano a raccontare la propria vita, cercando di chiarire insieme a lui alcuni dubbi sulla sua biografia, di scoprire particolari nuovi, di soddisfare le curiosità del pubblico, che finalmente, dopo più di quattrocento anni, può godere di questo privilegio esclusivo e assoluto, di vedere dal vivo Shakespeare e, seppur per poco tempo, conoscere la sua vita attraverso le sue stesse parole. È un dialogo serrato, a cui si accompagnano parentesi e divagazioni, ricco di “punzecchiature” e di osservazioni ora sarcastiche, ora piene di sincera ammirazione, che le voci sovrapposte degli attori fuori scena rivolgono al protagonista, in uno scambio rapido di battute un po’ nello stile della Gialappa’s. Shakespeare non si tira indientro: nei cinquantadue minuti dello show – un minuto per ogni anno di vita – il racconto della sua carriera teatrale, dalle origini provinciali all’arrivo a Londra, dai primi successi alla fondazione della compagnia dei Lord Chamberlain’s Men, dalla costruzione del Globe Theatre all’incontro con re Giacomo I, si intreccia con citazioni e riferimenti alle sue opere più famose, da “Romeo e Giulietta” a “La tempesta”, da “Amleto” a “Otello”, da “Macbeth” a “Re Lear”. Tragedia e commedia, in entrambe le quali Shakespeare fu grande maestro, si riflettono nel tono del racconto e nel carattere stesso del protagonista, talvolta ironico, scherzoso e confidenziale, talvolta invece serio, riflessivo, malinconico. Ne emerge il ritratto di un personaggio complesso, del quale ancora restano molte cose da capire e da scoprire, ma che forse, dopo quattrocento anni, non si conosceranno mai. Sulla sua vita sono fiorite tante leggende, tante “tesi del complotto”, tante ironie che lo stesso Shakespeare, sentendole riferire, non può fare a meno di spazzarle via con una risata. Eppure la sua figura di drammaturgo e poeta è ancora centrale nella cultura occidentale e le sue opere hanno influenzato artisti, musicisti, registi e scrittori dell’età contemporanea: da Melville a Burgess, da Luhrmann a Pasolini, da Modugno a Bob Dylan, in tanti hanno visto nel Bardo un punto di riferimento e una fonte d’ispirazione. Pur essendo riemerso dalla tomba dopo così tanti anni, lo Shakespeare di Sotterraneo è estremamente aggiornato sulla musica, sul cinema, sulla letteratura che hanno utilizzato le sue opere: un po’ meno, forse, sugli sviluppi del teatro “sperimentale” o “d’innovazione”, a proposito del quale avvia un gustosissimo colloquio con gli attori e i tecnici in sala. Il pubblico segue con attenzione, il ritmo è veloce e tiene gli spettatori incollati all’azione, stimolando allo stesso tempo una crescente curiosità verso Shakespeare e il suo teatro: viene davvero voglia di conoscere, di leggere, di prendere in mano una sua opera e recitarla. Anche questo è un merito dello spettacolo, in grado di rivolgersi a un pubblico di tutte le età, mescolando diversi linguaggi artistici senza risultare mai pedante, ripetitivo o eccessivamente didattico. Ma il tempo è ormai scaduto, è giunto il momento di morire di nuovo: “una cosa che mi riesce molto bene – afferma Shakespeare – nelle mie tragedie ho descritto decine di morti diverse!”. E mentre il Bardo si accascia sulla sedia, pronuncia le sue ultime parole, tratte dal finale de “La tempesta”: “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”.

Il muro del canto/Colle der fomento – Brutti sporchi e cattivi

CULTURA/MUSICA/PHOTOGALLERY by


Roma – Auditorium Parco della Musica – 16.02.2020

Live report, pregalleria e galleria fotografica di Claudio Enea

Ne avevo sentito parlare ma non conoscevo “Il muro del canto” ne tanto meno il “Colle der fomento” e non immaginavo minimamente una sala Santa Cecilia, la più grande dell’Auditorium PdM di Roma, colma di fan dei due gruppi che hanno ballato e cantato i pezzi che via, via si sono succeduti in scaletta nello spettacolo “Brutti Sporchi e Cattivi”.
 Un evolversi dello spettacolo un po particolare, come affermano anche i protagonisti della serata, quasi a sconsacrare il prestigio della location, di consuetudine più formale ed asettica.

Concerto diviso in due tempi, non considerando i bis, nel primo protagonisti Il muro del canto, gruppo romano sulla breccia da circa 10 anni e con 4 album all’attivo che ha ravvivato la musica popolare romana proponendo un genere denominato “combat folk” un misto tra folk e rock, molto coinvolgente, caratterizzato dalla profonda voce di Daniele Coccia, dalle intro dei brani narrate da Alessandro Pieravanti che è anche il percussionista della band.
Completano il gruppo Ludovico Lamarra al basso, Eric Caldironi chitarra acustica, Franco Pietropaoli alla chitarra elettrica, e Alessandro Marinelli fisarmonica e tastiere, ospiti della serata Andrea Ruggiero violino e Roberto Angelini con la sua slide guitar.

Secondo tempo condotto invece dal Colle der fomento, gruppo rap, anch’esso romano ed ancora più longevo, essendo sulla cresta dell’onda da ben 25 anni, gruppo composto Danno, Masito e DJ Baro, tra i pionieri del hip hop italiano, insieme a loro anche  Dj Craim con il quale hanno realizzato l’ultimo album.
Diversi gli ospiti della band che si succedono sul palco, da Kaos one a Alien Dee per finire con la tromba di Roy Paci. Tutto da vivere il bis che ha visto le due band intrecciarsi ed unirsi nella rivisitazione di alcuni brani presi da entrambi i repertori, per chiudere con “Il cielo su Roma” della band rap.



(Pregalleria)



Banco del Mutuo Soccorso – Transiberiana…. Il viaggio continua


Roma – Auditorium Parco della Musica – 31.01.2020

Live report, pregalleria e galleria fotografica di Claudio Enea

No, non credo di essere di parte solo perché è stato uno dei primi gruppi che ho seguito ed amato fin dagli anni 70, ma questa sera mi gira per la testa un pensiero che mi accompagna fin da subito la fine del concerto, mi ripeto, “questa sera ho ascoltato musica”, non a caso, le stesse parole dette da una fan a Tony D’Alessio (voce del gruppo), che amabilmente si intrattiene a fine spettacolo come da tradizione dei componenti di questo fantastico gruppo.

BMS, una band progressive da sempre, di genere e di fatto, ed il concerto di questa sera non fa eccezione. Non un concerto solo per promuovere il nuovo album Transiberiana, ma un modo per ripercorrere i 50 anni e più di carriera assieme ai tanti fan che in questa piazza sono più numerosi che nelle altre.

Lo ribadisce Vittorio Nocenzi che assieme al fratello Gianni, presente in sala, fonda il gruppo agli inizi degli anni 70, lo ribadisce a colpi di aneddoti sulla nascita di alcuni brani, lo ribadisce con il ricordo dei compianti compagni di viaggio, scesi dal treno in corsa ma sempre presenti, lo ribadisce chiacchierando con il pubblico proponendo dei fuori programma che confermano la sua estrazione classica ed il grande spessore musicale che lo contraddistingue, come quando esegue il “Preludio XII” in FA minore di J.S. Bach, scusandosi per utilizzare un pianoforte digitale anziché uno più consono a coda.

Dicevamo, commozione e standing ovation per la dedica ed il ricordo di Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese, componenti mai dimenticati e simboli perenni di questo gruppo. Sublime “capitan” Vittorio, come bravissimi i suoi attuali compagni di viaggio, non è per nulla semplice dover sostituire due icone come Francesco e Rodolfo, ma loro alla fine, ci riescono egregiamente confrontandosi con i pezzi storici che hanno reso famoso il gruppo in tutto il mondo.

E così scorrono velocemente, in un concerto dal gusto rievocativo, oltre a pezzi tratti da Transiberiana come Eterna e L’imprevisto, le note di Moby Dick, Canto di Primavera, R.I.P., Traccia ed altri indimenticabili successi per finire con l’intramontabile “Non mi rompete”, nell’encore di chiusura.

Un boato di meritatissimi applausi accompagna alla fine del concerto i saluti della band, perché si signori, questa sera, abbiamo ascoltato musica e chi è stato presente lo ha capito.

Banco del Mutuo Soccorso:
Vittorio Nocenzipianoforte, tastiere e voce
Filippo Marchegianichitarra elettrica
Nicola Di Giàchitarra ritmica
Marco Capozibasso
Fabio Morescobatteria
Tony D’Alessiovoce

(pregalleria)



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Claudio Enea
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