SHAKESPEAROLOGY UN’INTERVISTA IMPOSSIBILE A WILLIAM SHAKESPEARE

in COMUNICATI STAMPA/CULTURA by

concept e regia Sotterraneo
in scena Woody Neri
scrittura Daniele Villa
luci Marco Santambrogio
costumi Laura Dondoli
sound design Mattia Tuliozi

produzione Sotterraneo
sostegno Regione Toscana, Mibact

residenze artistiche Centrale Fies_art work space, CapoTrave/Kilowatt, Tram – Attodue, Associazione Teatrale Pistoiese

***Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory, del network europeo Apap – Performing Europe 2020 ed è residente presso l’Associazione Teatrale Pistoiese***

trailer video 
https://vimeo.com/352223049

Dice Jerome Salinger: “quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono”. È da un po’ di tempo che volevamo usare il teatro come quella famosa telefonata, per incontrare Sir William Shakespeare in carne-e-ossa e fare due chiacchiere con lui sulla sua biografia, su cosa è stato fatto delle sue opere, su più di 400 anni della sua storia post-mortem dentro e fuori dalla scena – come se accompagnassimo Van Gogh al Van Gogh Museum o Dante in mezzo ai turisti che visitano la sua abitazione fiorentina.

Partiamo dall’immaginario collettivo per parlare con Shakespeare. Certo, non sarà il vero, autentico, originario William Shakespeare, ma se riusciamo a incontrare anche uno solo dei possibili Shakespeare, forse l’esperimento potrà dirsi riuscito.

Shakespearology è un one-man-show, una biografia, un catalogo di materiali shakespeariani più o meno pop, un pezzo teatrale ibrido che dà voce al Bardo in persona e cerca di rovesciare i ruoli abituali: dopo secoli passati a interrogare la sua vita e le sue opere, finalmente è lui che dice la sua, interrogando il pubblico del nostro tempo.

Spazio Rossellini 6 marzo ore 21.00
Biglietto intero euro 12 – ridotto euro 10

Biglietto studenti euro 8

Per informazioni e prenotazioni: info@spaziorossellini.it

Tel 3452978091
via della vasca navale 58 – Roma

RECENSIONI

Repubblica.it
di Valentina De Simone

visto a Kilowatt Festival 2019, Partecipare è normale, XVII edizione, Sansepolcro

Prima nazionale al Teatro della Misericordia di Sansepolcro, Shakespearology di Sotterraneo è un’incursione dissacrante ed esilarante nella figura di William Shakespeare e della sua arte, un one man show affidato al carisma e all’intensità interpretativa di Woody Neri. Sul palcoscenico vuoto, ad eccezione di uno sgabello nero decorato con una stella bianca, Neri in gorgiera e l’aplomb da rocker si fa avanti come un fantasma sbucato da un sogno e dialoga con le voci registrate di Sara Bonaventura, Daniele Villa e Claudio Cirri che lo incalzano di domande per riportarlo indietro agli episodi salienti della sua esistenza. Il matrimonio in giovane età, la paternità, il trasferimento a Londra, il crescente successo, lo Shakespeare di Neri canzona il pubblico con la sua narrazione compiaciuta e istrionica, inframmezzata da performance live alla chitarra acustica di grandi classici quali Desolation Row di Bob Dylan o Are You Lonesome Tonight? di Elvis Presley. L’eredità del Bardo ci conduce poi al cinema, con un’esilarante messa in scena in playback della morte di Mercuzio, replicando la sequenza di Romeo+Juliet di Baz Luhrmann. Neri intrepreta, al contempo, Leonardo Di Caprio e John Leguizamo, concedendoci, più tardi, una spassosa carrellata delle più celebri morti che Shakespeare ha destinato ai suoi personaggi. Dall’Inghilterra elisabettiana ai giorni nostri, con l’incertezza di un’arte, quella teatrale, in precariato continuo per la necessaria ricerca di finanziamenti. Shakespearology di Sotterraneo condisce l’orizzonte del divertissement con un affondo nei meccanismi stessi e nella pratica del fare teatro, messa in mostra, mentre è in azione, nei suoi dispositivi drammaturgici e di scrittura dei personaggi, nella relazione fra gli attori, nel coinvolgimento del pubblico. Un azzardo, il teatro, ieri come oggi, a cui però chiediamo ancora di farci scoprire l’ignoto.

TeatroeCritica.net
Sotterraneo. Il teatro senza Shakespeare è impossibile

di Alessandro Iachino

Ha debuttato a Sansepolcro, nell’ambito della XVII edizione di Kilowatt Festival, Shakespearology, nuova creazione di Sotterraneo

«Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira». È Holden Caulfield, lo studente ribelle e brillante, a sintetizzare in poche righe l’ineffabile esperienza di alcune, rare letture, quella relazione intima e necessaria, ancorché irreale, che soltanto pochi racconti sono in grado di stringere tra il lettore e lo scrittore. Posta in esergo a Shakespearology e pronunciata dalla voce off di Claudio Cirri, la citazione da Il giovane Holden sembra quasi istituire un cortocircuito di senso tra il Bardo – protagonista assoluto della nuova creazione di Sotterraneo – e J. D. Salinger; entrambi giganti della letteratura, entrambi parzialmente celati a qualsiasi sguardo panottico da zone d’ombra e reticenze, dal tempo e da un esilio autoimposto, i due sono forse accomunati anche da quelle narrazioni, spesso mitiche più che veridiche, che altri hanno tratteggiato a partire dalle loro, altrettanto misteriose, esistenze. Una volontà di disvelamento costituisce così l’istanza sottesa a questa produzione, presentata in prima nazionale al Teatro alla Misericordia di Sansepolcro durante la seconda giornata di Kilowatt Festival, diretto da Luca Ricci e Lucia Franchi: un tentativo, condotto secondo le consuete modalità dissacranti e avantpop di Sotterraneo, di raccontare William Shakespeare e al contempo quella galassia di stratificazioni che, a partire dalla sua opera, le arti tutte hanno contribuito a edificare. Di una shakespearologia, non a caso, si tratta: una risultante performativa di un approccio scientifico al proprio oggetto di indagine, un discorso che dal padre del teatro moderno prende le mosse, e che a esso sembra circolarmente – e doverosamente – tornare. È forse possibile immaginare il teatro senza William Shakespeare? Se la risposta negativa a questo interrogativo retorico sembra scontata, Sotterraneo sembra qui condurla alla sua più radicale conseguenza: lungi dall’essere soltanto necessario, l’autore dell’Amleto – ma anche delle bistrattate Allegre comari di Windsor – è qui eletto a condizione sufficiente dello spettacolo. Accantonati il sovraccarico di idee e il ritmo vorticoso di Overload, con Shakespearology il collettivo fiorentino mette in atto un processo sottrattivo, che riduce gli elementi scenografici – uno sgabello nero, decorato con una stella bianca – così come la varietà di soluzioni testuali, qui ricondotte a un dialogo tra le voci registrate degli stessi Sara Bonaventura, Daniele Villa, Claudio Cirri, e l’unico attore in scena. Evocato come un fantasma dal sogno – comune a ogni donna e ogni uomo di teatro – di potere condividere con lui chiacchiere e confessioni, William Shakespeare appare sul palcoscenico vuoto con attitudine da rocker, l’outfit aggressivo di una star della musica, e una filologica gorgiera che ne incornicia il volto e l’iconica capigliatura. Oggi, forse, il Bardo racconterebbe così le proprie storie, come un cantautore maledetto o l’avventore bislacco di un bar; oggi Woody Neri, quasi irriconoscibile, dona corpo ed energia al più grande drammaturgo di tutti i tempi, virando ora verso le tonalità della stand up comedy, ora concedendosi squarci lirici e commossi. Per meno di un’ora di durata – d’altro canto, come ci ricorda lo stesso Shakespeare quasi citando il tema cardine di Overload, la soglia di attenzione dello spettatore si è progressivamente e vertiginosamente accorciata – il drammaturgo, incalzato dalle domande, attraversa gli episodi salienti della propria vita: il matrimonio in giovane età, l’esperienza della paternità, il trasferimento a Londra, il crescente successo, la nascita della compagnia dei Lord Chamberlain’s Men e poi dei King’s Men. E tuttavia lo Shakespeare vulcanico di Woody Neri dileggia gli spettatori, affabula con compiacimento, mistifica e corregge le poche verità acclarate sul suo conto: inventa, come è naturale che sia, avventurosi episodi che sappiano conquistare la platea, ruba ad Anthony Burgess l’idea di un incontro fortuito con Miguel De Cervantes, inframmezza al racconto l’esecuzione alla chitarra acustica di classici quali Are You Lonesome Tonight? di Elvis Presley o Desolation Row di Bob Dylan. È in queste frequenti aperture rizomatiche che Shakespearology tradisce ogni quieta aspettativa sul suo fulcro concettuale, e rivela di essere una surreale mise en abyme, un divertissement che illumina, più ancora che la biografia del genio di Stratford-upon-Avon, la sua sterminata eredità transdisciplinare. Il cinema, in questo senso, appare esserne la manifestazione più evidente, in grado di condurre verso inaspettati esiti kitsch anche la straziante morte di Mercuzio: replicata in uno spassoso playback, la sequenza di Romeo+Juliet di Baz Luhrmann ambientata sulla spiaggia di Verona Beach è occasione per Woody Neri di interpretare, con trascinante istrionismo, Leonardo di Caprio e John Leguizamo, per poi incarnare un’esilarante antologia delle più celebri morti che Shakespeare stilò per i suoi personaggi. Ma Sotterraneo agisce il mash-up citazionista, a sua volta, come mero dispositivo atto a squadernare l’essenza stessa del “fare teatro”: ciò che Shakespearology compie, seppur nascondendosi sotto il mantello del più puro entertainment, è mostrare i meccanismi della costruzione drammaturgica, della scrittura del personaggio, della direzione degli attori, della creazione di una relazione con lo spettatore. A essere interrogato, più ancora che il fantasma di William, è lo statuto stesso di un’arte che da sempre sembra situarsi in pericoloso equilibrio tra la professione e la passione: oggi, così come nell’Inghilterra elisabettiana, sono la ricerca dei finanziamenti e il destino sempre incerto di uno spettacolo ad animare incubi e paure, a insinuarci il dubbio che in fondo il teatro non sia nient’altro che un azzardo. Eppure è al teatro che chiediamo, una volta ancora, di farci scoprire il rumore del mare: anche quando è a chilometri di distanza, anche quando non l’abbiamo mai ascoltato prima.

Reportcult.it
di Andrea Capecchi

Sotterraneo porta in scena una “chiacchierata impossibile” con Shakespeare

Pistoia – Cosa succederebbe se William Shakespeare tornasse per un’ora su un palcoscenico per raccontare al pubblico la propria vita?

Teatro Sotterraneo ha portato in scena al Funaro, in anteprima assoluta, “Shakespearology”, uno spettacolo “pop” che unisce autobiografia, indagine storica e letteraria, citazioni musicali e teatrali, dove la vita e le opere del Bardo – ma anche le profonde influenze che il suo teatro ha esecitato nei successivi quattro secoli – scorrono in una sorta di “chiacchierata impossibile” con “il più grande drammaturgo di tutti i tempi”. Un one-man-show scritto da Daniele Villa dove William Shakespeare – interpretato dal bravissimo Woody Neri – entra in scena con chitarra e occhiali scuri, intona un pezzo rock, inizia a dialogare con le voci fuori campo che lo invitano a raccontare la propria vita, cercando di chiarire insieme a lui alcuni dubbi sulla sua biografia, di scoprire particolari nuovi, di soddisfare le curiosità del pubblico, che finalmente, dopo più di quattrocento anni, può godere di questo privilegio esclusivo e assoluto, di vedere dal vivo Shakespeare e, seppur per poco tempo, conoscere la sua vita attraverso le sue stesse parole. È un dialogo serrato, a cui si accompagnano parentesi e divagazioni, ricco di “punzecchiature” e di osservazioni ora sarcastiche, ora piene di sincera ammirazione, che le voci sovrapposte degli attori fuori scena rivolgono al protagonista, in uno scambio rapido di battute un po’ nello stile della Gialappa’s. Shakespeare non si tira indientro: nei cinquantadue minuti dello show – un minuto per ogni anno di vita – il racconto della sua carriera teatrale, dalle origini provinciali all’arrivo a Londra, dai primi successi alla fondazione della compagnia dei Lord Chamberlain’s Men, dalla costruzione del Globe Theatre all’incontro con re Giacomo I, si intreccia con citazioni e riferimenti alle sue opere più famose, da “Romeo e Giulietta” a “La tempesta”, da “Amleto” a “Otello”, da “Macbeth” a “Re Lear”. Tragedia e commedia, in entrambe le quali Shakespeare fu grande maestro, si riflettono nel tono del racconto e nel carattere stesso del protagonista, talvolta ironico, scherzoso e confidenziale, talvolta invece serio, riflessivo, malinconico. Ne emerge il ritratto di un personaggio complesso, del quale ancora restano molte cose da capire e da scoprire, ma che forse, dopo quattrocento anni, non si conosceranno mai. Sulla sua vita sono fiorite tante leggende, tante “tesi del complotto”, tante ironie che lo stesso Shakespeare, sentendole riferire, non può fare a meno di spazzarle via con una risata. Eppure la sua figura di drammaturgo e poeta è ancora centrale nella cultura occidentale e le sue opere hanno influenzato artisti, musicisti, registi e scrittori dell’età contemporanea: da Melville a Burgess, da Luhrmann a Pasolini, da Modugno a Bob Dylan, in tanti hanno visto nel Bardo un punto di riferimento e una fonte d’ispirazione. Pur essendo riemerso dalla tomba dopo così tanti anni, lo Shakespeare di Sotterraneo è estremamente aggiornato sulla musica, sul cinema, sulla letteratura che hanno utilizzato le sue opere: un po’ meno, forse, sugli sviluppi del teatro “sperimentale” o “d’innovazione”, a proposito del quale avvia un gustosissimo colloquio con gli attori e i tecnici in sala. Il pubblico segue con attenzione, il ritmo è veloce e tiene gli spettatori incollati all’azione, stimolando allo stesso tempo una crescente curiosità verso Shakespeare e il suo teatro: viene davvero voglia di conoscere, di leggere, di prendere in mano una sua opera e recitarla. Anche questo è un merito dello spettacolo, in grado di rivolgersi a un pubblico di tutte le età, mescolando diversi linguaggi artistici senza risultare mai pedante, ripetitivo o eccessivamente didattico. Ma il tempo è ormai scaduto, è giunto il momento di morire di nuovo: “una cosa che mi riesce molto bene – afferma Shakespeare – nelle mie tragedie ho descritto decine di morti diverse!”. E mentre il Bardo si accascia sulla sedia, pronuncia le sue ultime parole, tratte dal finale de “La tempesta”: “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”.

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