GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Redazione - page 317

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Europe and the US in support of the national unity of Libya

BreakingNews @en/Miscellaneous di

The Governments of France, Germany, Italy, Spain, the United Kingdom and the United States of America reaffirm their strong commitment to the sovereignty, independence, territorial integrity and national unity of Libya, and to ensuring that Libyan economic, financial, and energy resources are used for the benefit of all Libyan people.
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Talks of peace between Tobruk and Tripoli governments can’t stop them: “At a time when the UN-sponsored political process is making progress towards a lasting resolution of the conflict in Libya, we express our concern at attempts to divert Libyan resources to the narrow benefit of any side in the conflict and to disrupt financial and economic institutions that belong to all Libyans”.
Libyans establishments and economy are independent: “We reiterate our expectation that those on all sides representing Libya’s independent institutions, namely the Central Bank of Libya (CBL), the Libyan Investment Authority (LIA), the National Oil Corporation (NOC) and the Libyan Post Telecommunications and Information technology company (LPTIC) will continue to act in the long term interests of the Libyan people pending clarification of unified governance structures under a Government of National Accord”.
National unity is necessary to fight Islamic State: “We reiterate that Libya’s challenges can only be addressed by a government that can effectively oversee and protect Libya’s independent institutions, whose role is to safeguard Libya’s resources for the benefit of all Libyans.  Terrorists are exploiting this conflict to establish a presence in Libya and will take advantage of Libya’s national wealth to advance their appalling transnational agenda”.
France, Germany, Italy, Spain, the United Kingdom and the United States of America reiterate support for all Libyans: “Libya is fortunate to have the resources to enable it to become a peaceful and prosperous nation, with a powerful and positive impact on the wider region. We urge all Libyans to support the continued independence of its financial and economic institutions”.
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Europa e Usa a sostegno dell'unità nazionale della Libia

BreakingNews/Varie di

I Governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti ribadiscono il loro forte impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale e l’unità nazionale della Libia, e affinché le risorse economiche del Paese siano utilizzate per il benessere della popolazione libica.

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Il primo riferimento è alle trattative tra i governi di Tobruk e Tripoli condotte dal mediatore Onu Bernardino Leon: “In un momento in cui il processo di dialogo guidato dalle Nazioni Unite fa segnare progressi verso una soluzione durevole del conflitto in Libia, esprimiamo la nostra preoccupazione per i tentativi di dirottare risorse libiche ad esclusivo vantaggio di una delle parti in conflitto e di dividere istituzioni economico-finanziarie che appartengono a tutti i cittadini libici”.
Nessuna interferenza nelle istituzioni e nell’economia libiche: “Affermiamo nuovamente l’auspicio che coloro che rappresentano le istituzioni libiche indipendenti, vale a dire la Banca Centrale di Libia (CBL), la Libyan Investment Authority (LIA), la National Oil Corporation (NOC) e la compagnia delle Poste e Telecomunicazioni libiche (LPTIC), a qualsiasi campo appartengano, continuino ad operare nell’interesse di lungo termine del popolo libico, in attesa di un chiarimento circa le strutture di governance sotto il Governo di unità nazionale”.
L’unità nazionale è l’unica possibile soluzione per combattere lo Stato Islamico: “Ribadiamo che le sfide che la Libia deve fronteggiare possono essere affrontate soltanto da un esecutivo che possa supervisionare e proteggere in maniera efficace le istituzioni indipendenti del Paese, il cui ruolo è di salvaguardare le risorse della Libia a beneficio di tutta la popolazione. I terroristi stanno approfittando del conflitto in corso per radicare la propria presenza nel Paese e intendono impadronirsi della ricchezza della Libia per portare avanti la propria agenda transnazionale”.
Francia, Germania, Italia, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti ribadiscono il loro sostegno ai cittadini libici: “La Libia possiede le risorse necessarie per creare una nazione pacifica e prospera, in grado di esercitare un forte ruolo positivo nel più ampio contesto regionale. I terroristi traggono beneficio da questo conflitto poiché il loro scopo è far avanzare i loro progetti in Libia e nel mondo. Esortiamo con forza tutti i cittadini libici a sostenere l’indipendenza di queste istituzioni dalle influenze politiche”.

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Ue: nuove proposte sulla sicurezza

EUROPA/POLITICA di

Al vaglio misure per aiutare gli Stati partner nella lotta al terrorismo e alla criminalità. All’orizzonte anche alcune manovre di bilancio per favorire i processi di pace in Africa.

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La Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Ue hanno recentemente diramato un comunicato in materia di sicurezza. Non è una novità: ma l’obiettivo stavolta è quello di aiutare i paesi partner e le organizzazioni regionali a prevenire crisi in materia di sicurezza utilizzando gli strumenti di cui l’Unione ed i singoli Stati Membri dispongono, sulla scorta delle lezioni apprese nei paesi terzi come le missioni di formazione in Mali o in Somalia o, più indietro nel tempo, in Bosnia e Congo (si pensi alle missioni sotto egida UE denominate “EUFOR Althea” ed “EUFOR RD Congo”, a cui hanno partecipato negli anni folti contingenti di militari e non provenienti dal nostro Paese).

La “comunicazione” congiunta, che suona come un’importante dichiarazione di intenti, svela quali siano ad oggi le criticità del sistema Europa in materia sicurezza e difesa ed illustra una serie di proposte anche economico – finanziarie per fronteggiare le minacce del terrorismo e della criminalità organizzata emergenti dentro i confini dell’Unione. Il tutto manifesta l’evidente intento di Junker e di Mogherini di attribuire una missione ancora più globale dell’Europa. Il documento è da ritenersi quale un vero e proprio libro bianco di livello strategico in materia di sicurezza; la stessa Mogherini ha dichiarato: “Con queste nuove proposte intendiamo aiutare i nostri partner ad affrontare le sfide connesse al terrorismo, ai conflitti, alla tratta di esseri umani e all’estremismo. Permettere ai partner di garantire la sicurezza e la stabilizzazione sul loro territorio non serve solo a favorire il loro sviluppo, ma è anche nell’interesse della stabilità internazionale, comprese la pace e la sicurezza in Europa”.

Alcuni manovre di bilancio illustrate nel documento per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato dalle Istituzioni UE sono:
– adattare il Fondo per la pace in Africa per ovviare alle sue limitazioni;
– creare un nuovo fondo che colleghi pace, sicurezza e sviluppo nell’ambito di uno o più strumenti già esistenti;
– creare un nuovo strumento finanziario destinato specificamente a sviluppare la capacità dei paesi partner in materia di sicurezza.

Materialmente, il supporto che la Commissione vorrebbe fornire potrebbe consistere nella fornitura di ambulanze e materiale di protezione o mezzi di comunicazione alle forze militari nei paesi in cui le missioni della politica di sicurezza e di difesa comune stanno già assicurando formazione e consulenza, ma dove la loro efficacia risente della mancanza dei mezzi essenziali.

Il tutto assume una maggiore rilevanza se si pensa che proprio domani, 7 maggio, un’importante Comitato del Consiglio dell’Unione Europea, il COSI – Standing Committee on Internal Security, si riunirà in maniera informale a Riga, in Lettonia (che è il paese attualmente reggente la Presidenza del Consiglio): in quella sede si discuterà principalmente di terrorismo, di foreign fighters, di confini, di immigrazione e dell’operato delle numerose agenzie europee operanti nel settore JHA (Justice and Home Affairs).

Questi eventi, questi “atteggiamenti”, devono indurci a pensare che l’Europa, e le sue numerose Istituzioni, con uno sguardo all’interno ed all’esterno dei suoi confini stanno cercando di assumere un ruolo di sempre maggior rilievo nella gestione civile delle crisi e dei risvolti ad esse interconnessi. L’Europa, in sintesi, pur non abbandonando i suoi primigeni obbiettivi strategici di natura politico-economica, sta operando finalmente in maniera sempre più incisiva anche negli equilibri e negli assetti internazionali, valicando – e anche di molto – i suoi confini geografici ed assurgendo ad organizzazione internazionale sempre più “completa”.

Domenico Martinelli

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Donne curde e rivoluzione: oltre l'autodifesa

Medio oriente – Africa di

Tanto si è detto e scritto in questi ultimi quattro mesi sulle donne curde, in virtù di quello che accadeva a Kobane, in Rojava (Kurdistan siriano). Si è dato spazio soprattutto alle immagini delle donne curde, donne che solo in pochi conoscevano, per evidenziare la loro giovane età, la loro bellezza e il fatto che avessero imbracciato un’arma. Ma questo non è che l’aspetto più superficiale di quanto sta accadendo in quella parte di Medio Oriente. Sì, perchè le donne curde lì stanno facendo una rivoluzione, ma in tutti gli ambiti della società. E l’aspetto militare non è che uno fra questi, e non sarebbe nemmeno il più importante se non fosse per il particolare momento, che vede la necessità dell’autodifesa dagli attacchi che il popolo curdo subisce con rinnovato vigore da ISIS come prima da altri gruppi, per esempio Al Nusra, affiliato a Al Qaeda, ma anche da parte del regime di Assad.

Dietro i volti delle nostre donne, dunque, c’è di più. Il loro coraggio e la loro determinazione hanno aperto un varco che deve lasciare spazio a un’analisi più profonda del processo cominciato diversi anni fa con la formazione di un partito delle donne e delle unità femminili di difesa del popolo in seno al movimento curdo, soprattutto in Nord Kurdistan (Turchia). Il Partito dei lavoratori del Kurdistan e il suo leader Abdullah Öcalan, da 16 anni in prigione sull’isola di Imrali, hanno cominciato questo processo, con un paziente e sotterraneo lavoro tra le famiglie, le studentesse, le lavoratrici, per riflettere sul ruolo delle donne e sulla loro oppressione nella società tradizionale curda. Abbiamo studiato e analizzato la posizione della donna nelle diverse epoche storiche e nei diversi luoghi, per scoprire che la donna curda subiva una doppia oppressione, come popolo e come genere. Questo lavoro ha portato a una presa di coscienza delle donne, che si sono sempre più impegnate in tutti i settori della società, fino a acquisire coraggio e fiducia in se stesse e ad assumere un ruolo attivo.

Il punto di partenza delle donne, addirittura, ha dimostrato di essere privilegiato rispetto a quello degli uomini: a causa dell’oppressione di genere, l’assimilazione è stata meno invasiva. Quando per diversi motivi le donne non hanno studiato, non hanno imparato il turco o l’arabo, significa che non si sono assimilate al sistema, e che gestiscono dal basso la propria famiglia e il proprio villaggio autonomamente. Questo è il principio dell’autonomia democratica, un principio molto femminile dunque, contro l’ideologia dall’alto verso il basso dello stato-nazione.

Piano piano le donne sono arrivate a contare di più, sia in famiglia, sia in politica, sia nell’economia e nella società in generale. Si sono formate associazioni, cooperative, perfino agenzie di stampa di donne, per rispondere con azioni concrete a questa oppressione. Le donne si sono prese il loro posto anche nel sistema rappresentativo: il modello dell’autonomia democratica, che è quello che oggi i curdi stanno cercando di realizzare in Turchia come in Siria, non prevede la riproposizione di un nuovo stato-nazione con il suo portato di schiavitù e oppressione, bensì la realizzazione di ciascuno con le sue peculiarità insieme agli altri, che siano gruppi etnico-linguistici, religiosi, politici e di genere. Da qui il meccanismo della co-presidenza di genere: ossia non un presidente e un vice, ma due presidenti di cui un uomo e una donna. E in tutti gli organismi rappresentativi funziona così, non solo per il genere ma anche per le diverse componenti della società, musulmani, zoroastriani, cristiani, ezidi, arabi, turcomanni.

Contro questo sistema si è scagliato IS, lo Stato Islamico, che non tollera la diversità, e che vede la donna come una minaccia da rinchiudere, salvo averne paura sul campo di battaglia in quanto qualche religioso avrebbe interpretato che l’essere uccisi da una donna non farebbe entrare in paradiso dopo la morte. Ma anche il partito AKP di Erdoğan partecipa di questa ideologia, perché ha un’idea completamente subalterna della posizione delle donne nella società. Non a caso, tre donne curde sono state vittima di un brutale assassinio due anni fa a Parigi: con l’attiva parte dei servizi segreti turchi, sono state prese di mira in quanto donne, in quanto simbolo di questa rivoluzione che è l’autonomia democratica.

A livello pratico, nell’attività politica rivoluzionaria all’interno del movimento curdo, le donne hanno trovato uno spazio di libertà che ha permesso loro di conquistare rispetto e dignità e di affrancarsi dai ruoli subordinati tradizionali, e hanno saputo dimostrare di valere quanto e anche più dei loro compagni maschi. C’è ancora molto da fare ovviamente, perché la mentalità feudale saldata alla modernità capitalistica è molto pervasiva, nessuna e nessuno ne è totalmente immune, neanche le donne stesse.

Questo processo è ormai innescato, e sarà molto difficile tornare indietro. Ma il modello che propongono e per il quale queste donne hanno lottato e continueranno a lottare è la potenziale soluzione ai problemi dei popoli in Medio Oriente, e forse anche altrove. Autorganizzazione, partecipazione, autodifesa, democrazia, ecologia: molte di queste donne, una volta che – si spera presto – sarà finita la guerra, non vorranno tornare a vivere in un mondo che le discrimina e le esclude, ma vorranno continuare su questa strada: e questa è già una rivoluzione.

 Suveyda Mahmud

 

Centrafrica: Continua la missione EURFOR RCA

Medio oriente – Africa di

Mantengono la posizione i militari della forza multinazionale europea a Bangui.

I genieri alpini della missione europea EUFOR-RCA hanno ripristinato un’importante strada di Bangui, nell’ambito dei progetti volti a migliorare la circolazione e la sicurezza nei diversi quartieri della capitale centrafricana.

I lavori di ripristino sono terminati ieri con la posa di una passerella metallica fabbricata dai tecnici militari italiani, che ha consentito la riapertura definitiva di una strada che – dopo un lungo periodo di interruzione dovuto al conflitto  – faciliterà i collegamenti con il 3° distretto di Bangui e consentirà tra l’altro di

raggiungere più facilmente il centro e i luoghi di culto, oltre a permettere il pattugliamento della zona da parte delle forze locali e internazionali.

Il progetto realizzato dal 2° reggimento genio di Trento è stato promosso – oltre che dalla missione militare dell’Unione Europea – anche dall’Ambasciata francese nella Repubblica Centrafricana, nel quadro di una serie di iniziative di riconciliazione inter-confessionale.

All’inaugurazione della strada hanno partecipato il generale Jean-Marc Bacquet – comandante di EUFOR RCA a Bangui – l’Ambasciatore Charles Malinas e i rappresentanti del 3° e del 5° distretto della capitale, rispettivamente a prevalenza musulmana e cristiana.

Nelle prossime settimane i genieri alpini della brigata Julia completeranno la costruzione di un ponte militare di 24 metri che collegherà tre quartieri di Bangui. Il progetto sarà realizzato grazie a un’importante partnership europea: la Repubblica Ceca ha fornito la struttura modulare di fabbricazione polacca, la Svezia ha curato il trasporto mentre la Germania esercita insieme a un team di Praga la supervisione tecnica dei lavori affidati ai militari italiani.

Bangui: i militari italiani aiutano la città

Medio oriente – Africa di

Bangui – Gli alpini  italiani hanno posato oggi il primo ponte leggero prefabbricato che aiuta la popolazione di due dei quartieri sotto la protezione della missione europea a raggiungere il mercato cittadino e alcune importanti strutture cittadine.

Qui a Bangui anche il più piccolo fosso può diventare un ostacolo alla vita quotidiana e alla divisione dei cittadini.

I genieri alpini del 2° reggimento della missione europea EUFOR-RCA hanno costruito e messo in opera nello spazio di tre giorni un ponte metallico leggero per mezzo del quale è stata ripristinata la viabilità pedonale e dei veicoli in un quartiere di Bangui, nei pressi dell’aeroporto.

Questo quartiere è uno dei 3 presidiati dalle forze della missione europea a difesa dell’aeroporto e delle istituzioni centrali.

La struttura, realizzata dal laboratorio lavorazioni metalliche, era stata espressamente richiesta dalla comunità del quartiere per facilitare il transito dei prodotti agricoli della zona verso i mercati della capitale Centrafricana, con un considerevole risparmio di tempo e maggiore sicurezza.

Alla posa del ponte – avvenuta per mezzo di macchine speciali del genio – hanno collaborato anche numerosi abitanti del quartiere, che hanno contribuito a delimitare l’area del cantiere e chiuso il transito di pedoni, moto e auto per l’intera durata delle operazioni.

La presenza di tanta gente alle operazioni di posa testimonia quanto sia apprezzata dalla popolazione la presenza delle forze internazionali che hanno permesso di pacificare una zona del paese.

Per i genieri alpini si tratta del primo progetto realizzato in seno alla missione europea EUFOR RCA. Nelle prossime  settimane i militari del reggimento della brigata Julia inizieranno la costruzione di un ponte metallico di venti metri che riunirà due quartieri della capitale Centrafricana divisi dalla guerra civile.

 

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Operazione "Aquila nera" il terrorismo di destra in Italia

EUROPA/Video di

Conclusa l’operazione “ Aquila Nera”, arrestate 14 persone e altri 48 indagati per associazione di stampo terroristico.L’operazione condotta dai ROS dei Carabinieri dopo mesi di indagini e pedinamenti ha permesso l’arresto del nucleo di comando di quello che poteva diventare un pericoloso gruppo terroristico.

Pianificavano attentati a magistrati e politici da effettuare con azioni simultanee oltre ad attentati a uffici pubblici, banche e agenzie di Equitalia.

Erano questi i piani del gruppo terroristico arrestato  dai carabinieri del Ros tra L’Aquila e 17 altre località in Italia

A firmare il provvedimento è stato il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di L’Aquila, Giuseppe Romano Gargarella, a seguito di una inchiesta portata avanti dalla procura distrettuale antimafia dell’Aquila. A coordinare le operazioni è stato il colonnello dei Ros di Roma, Massimiliano Macilenti.

I reati contestati sono associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi nonché tentata rapina.

I provvedimenti scaturiscono da un’attività investigativa (guidata dal procuratore dell’Aquila Fausto Cardella e dal pubblico ministero Antonietta Picardi) è stata avviata, nel 2013, dal R.O.S. nei confronti di un’associazione clandestina denominata “Avanguardia Ordinovista” che, “richiamandosi agli ideali del disciolto movimento politico neofascista “Ordine Nuovo” e ponendosi in continuità con l’eversione nera degli anni ’70, progettava azioni violente nei confronti di obiettivi istituzionali, al fine di sovvertire l’ordine democratico dello Stato”.

Stefano Manni, uno dei leader del gruppo eversivo,  si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre Franco Montanaro ha respinto ogni addebito e ha negato ogni accusa “Tutta colpa di Facebook, aderivo alle idee del gruppo, applaudivo e apprezzavo i commenti, ma non mi sono mai reso conto della pericolosità del gruppo, Si è difeso così in aula davanti al gip, Nicola Montanaro.

 

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In particolare, le indagini documentavano come il gruppo, guidato da Stefano Manni oltre alla raccolta di armi e la pianificazione di attentati stessero organizzando la formazione del ramo politico del gruppo  utilizzando il  web, ed in particolare il social network Facebook, come strumento di propaganda eversiva, incitamento all’odio razziale e proselitismo.

A tal riguardo il MANNI aveva realizzato un doppio livello di comunicazione: uno attraverso un profilo pubblico, dove lanciava messaggi volti ad alimentare tensioni sociali e a suscitare sentimenti di odio razziale, in particolare nei confronti delle persone di colore; un altro attraverso un profilo privato, limitato ad un circuito ristretto di sodali, dove discuteva le progettualità eversive del gruppo.

L’organizzazione aveva anche pianificato  la costituzione della “Scuola Politica Triskele”, legata alla creazione del “Centro Studi Progetto Olimpo”, attraverso cui promuovere ed organizzare  incontri politico-culturali in varie località italiane, nonché la realizzazione di campi paramilitari chiamati “campi hobbit”, all’interno dei quali diffondere e sviluppare l’ideologia e le progettualità eversive del gruppo.

Il Manni ha realizzato un network di contatti con altri gruppi simili su posizioni di estrema destra con cui collaborare alla creazione di un unico soggetto politico, tra questi  i “Nazionalisti Friulani”, il “Movimento Uomo Nuovo”[3] e la “Confederatio”.

Un “ponte per Bangui” missione per evitare crisi umanitaria

Difesa di

Segno concreto dell’efficacia dell’integrazione europea, nell’ambito della difesa e della politica estera comune, è senza dubbio la missione EUFOR IN Repubblica Centrafricana, nata proprio all’inizio del semestre di presidenza Italiana dell’ U.E. a cui il nostro Paese contribuisce con un contingente di genieri alpini del 2° guastatori di Trento che da poco ha avvicendato i colleghi genieri paracadutisti della Folgore.

Sono 13 le nazioni che compongono con proprie unità il contingente EUFOR in Centrafrica, composto da circa 700 uomini dislocati presso la capitale Bangui, ma il supporto finanziario e logistico della missione coinvolge tutti i 28 Paesi dell’Unione Europa.

L’arrivo delle forze internazionali a Bangui ha scongiurato il rischio di una catastrofe umanitaria in tutto il Centrafrica , dopo gli scontri interconfessionali scoppiati alla fine del 2013 che hanno causato migliaia di vittime e l’esodo di oltre un milione di persone.

Grazie ad un ritmo operativo molto intenso, la missione europea EUFOR ha rianimato tre zone sensibili della città, contribuendo a creare un ambiente più sicuro per la popolazione e le organizzazioni internazionali ed umanitarie, facilitando al tempo stesso lo schieramento della missione ONU denominata MINUSCA votata dall’assemblea generale delle nazioni unite con la risoluzione 2014/73,  .

In tale contesto, il contingente italiano composto da genieri e tecnici altamente specializzati, ha operato e tutt’ora opera per ripristinare la viabilità della città, sia riparando sia realizzando strade vitali per garantire la libertà di movimento ed il libero scambio, è impegnato nella diuturna bonifica dei canali di scolo intasati, nei quali proliferano insetti e zanzare fonti di trasmissione della malaria  ancora oggi la prima causa di morte infantile a Bangui, inoltre  rafforzando la sicurezza dell’aeroporto hanno implementato la sicurezza dell’area che ospita un campo profughi con 20.000 sfollati (100000 prima dell’arrivo di EUFOR).

Malgrado mesi di attività e controlli  la sicurezza a Bangui rimane volatile, come dimostrano i violenti scontri episodici tra le frange estremiste dei gruppi musulmani e cristiani, che hanno causato numerose vittime e in più di un occasione hanno coinvolto sia le forze ONU appena schierate sia quelle europee, fermo restando che EUFOR gode di notevole popolarità tra la gente di Bangui.

I prossimi mesi saranno dedicati al passaggio di consegne definitivo ai caschi blu della missione MINUSCA, ed il conseguente ripiegamento del contingente europeo che dovrebbe avvenire entro il prossimo mese di  marzo, tuttavia sarà portato a termine in parallelo un progetto che vedrà i genieri italiani protagonisti della costruzione di un ponte destinato a riunificare due quartieri che furono divisi dalle ostilità, una riunificazione non solo simbolica ma altrettanto necessaria per ridare slancio all’indotto economico e commerciale.

Il progetto “ponte per Bangui”  è una bella iniziativa di cooperazione europea (l’U.E. è infatti il primo partner della Repubblica Centrafricana);   il ponte costruito in Polonia, è stato fornito dalla Repubblica Ceca, trasportato con un volo della Germania, e sarà appunto installato dal contingente italiano, un coordinato e perfetto gioco di squadra!

 

Redazione
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