I cercapersone esplosivi nel quadro del diritto internazionale umanitario

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Un gran numero di cercapersone è esploso spontaneamente e simultaneamente, strumento adoperato dal personale degli Hezbollah in Libano che ha causato alcuni morti e migliaia di feriti.

Questo attacco, probabilmente coordinato, è stato ottenuto inserendo nei nuovi cercapersone un componente finto che conteneva fra i 10 e 20 grammi di esplosivo ad alto potenziale di livello militare. Si presume che tale dispositivo possa essere stato armato mediante l’uso di un segnale sottoforma di messaggio di testo alfanumerico. Forse, inviando lo stesso messaggio a tutti i dispositivi in tutti i cercapersone che trasportano il componente esplosivo, le denotazioni quasi simultanee sarebbero state ottenute sulla base del fatto che una volta armato il dispositivo, la successiva occasione in cui tale strumento per reperire le persone viene usato attiverebbe il dispositivo esplosivo. 

L’ambito in cui si sono verificati questi accadimenti è un conflitto armato interno in corso fra Israele e gli Hezbollah. La natura apparentemente sofisticata degli attacchi, ossia la loro chiara natura coordinata e l’elevato numero di dispositivi interessati, potrebbero indicare che vi sia il coinvolgimento a livello di Stato, nel senso che l’operazione possa essere stata intrapresa da organi ufficiali statali israeliani e, pertanto, possano essere attribuiti a Israele stessa, in primis al Mossad (i servizi di intelligence). Difatti, è stata confermata l’attribuzione ai servizi segreti israeliani di questa mossa, organo effettivo dello Stato di Israele e che tale comportamento potrebbe essere considerato come un atto ai sensi del diritto internazionale (art.4), rientrante nel Progetto relativo alla responsabilità degli Stati del 2001; l’operazione, tuttavia, potrebbe essere stata intrapresa da singoli individui oppure da un gruppo che abbiano agito su istruzioni, direzioni e controllo delle autorità israeliane nel porre in essere quel comportamento (art.8), in modo tale che gli atti possano essere attribuibili al governo di Tel Aviv.

Bisogna tenere in considerazione un paio di punti chiave, cioè, se questi sistemi d’arma o metodi di guerra possano essere ritenuti leciti, Il sistema d’arma, nel caso di cui si sta trattando, comprenderà il componente fac-simile, compreso il contenuto esplosivo, il detonatore, il meccanismo di armamento e l’attrezzatura utilizzata per generare e trasmettere il segnale rilevante, e se tali attacchi possano viaggiare sul binario della sua conformità agli obiettivi. Nell’esaminare la legittimità di una nuova arma o di un nuovo metodo di guerra, andrebbero resi applicabili alcuni criteri se l’arma o il metodo sia di natura tale da cagionare lesioni superflue o sofferenze non necessarie, vale a dire che ciò richiede la considerazione di metodi alternativi per raggiungere il risultato militare desiderato ed una determinazione se l’arma o il metodo in esame possano causare inevitabilmente delle lesioni per le quali non via sia alcuno fine militare. Il dispositivo, di cui si sta trattando, sembra impiegare una combinazione di esplosione e frammentazione come meccanismo di riferimento, ricordando che entrambe le tecnologie vengono latu senso adoperate durante un conflitto bellico e arduamente possano essere ritenute come una violazione di questo principio.

Un altro criterio consiste nel focalizzare se l’arma e il metodo sia indiscriminato per natura, ossia possa essere diretto a uno specifico obiettivo militare, i suoi effetti possono essere razionalmente circoscritti a tale obiettivo militare ed è di natura tale da colpire indistintamente civili e obiettivi militari. Ora, a seconda della posizione della persona che è il bersaglio – si potrebbe supporre, exempli gratia, un membro degli Hezbollah – un dispositivo di questo genere può essere adoperato in modo discriminatorio. La preoccupazione, di certo, in base a questo criterio consista nel fatto che il meccanismo che porta alla detonazione di questi dispositivi è tale che non sia possibile sapere chi si trova nelle loro immediate vicinanze al momento in cui viene pigiato il bottone del detonatore.

L’ulteriore criterio ci porta a considerare se l’arma o il metodo di guerra violano le norme del diritto dei conflitti armati che tutelano l’ambiente naturale. In realtà senza dover delineare alcune considerazioni, la risposta non può essere che negativa.

Infine, come ultimo criterio, bisogna attenzionare la questione se esista una disposizione giuridica che determini norme specifiche in relazione ad un’arma di questo genere. Il II Protocolloaddizionale alla Convenzione sulle armi convenzionali (CAC) affronta, inter alia, le trappole esplosive definito come qualsiasi dispositivo o materiale, costruito o adattato per uccidere o colpire una persona e che funzionano all’improvviso quando questa li tocca o si avvicina, credendo di avere a che fare con un oggetto innocuo o di eseguire un atto apparentemente sicuro. Nel 2001, l’ambito di applicazione della CAC e dei Protocolli addizionali è stato esteso per applicarlo al conflitto armato interno, estensione che, però, vale solo per gli Stati che hanno ratificato tale estensione e non per Israele che non lo ha ratificato, che, guarda caso, è, ciononostante, è parte del II Protocollo emendato che, fra l’altro, affronta anche le trappole esplosive.

Tra le norme del II Protocollo emendato, si inizia con il dare un efficace preavviso dell’impiego delle trappole esplosive, a meno che le circostanze non lo consentano. Tuttavia, si pensava con molta probabilità che l’obiettivo militare dell’operazione cerca persone sarebbe stato vanificato se fosse stato dato un avvertimento. I principali divieti sull’uso di trappole esplosive sono comminati nell’articolo 7, paragrafo 2, del II Protocollo sul divieto o la limitazione dell’impiego di mine, trappole e altri dispositivi, secondo cui: «è vietato impiegare trappole o altri dispositivi aventi l’apparenza di oggetti portatili inoffensivi, ma che sono di fatto espressamente concepiti e fabbricati per contenere materie esplosive».

Vi è, a parere dello scrivente, una distinzione che va evidenziata fra l’uso delle trappole su un oggetto e la creazione di una trappola esplosiva in modo da farla apparire come un oggetto portatile e apparentemente innocuo. La prima attività si verifica, exempli gratia, nel momento in cui un dispositivo esplosivo a trappola esplosiva viene applicato ad una porta o a un cassetto, in modo tale che quando una persona apre uno dei due il dispositivo esplode. Mentre il primo paragrafo dell’articolo 7 elenca gli oggetti che non devono essere adoperati come trappole esplosive, nel secondo viene inibito la realizzazione di tali trappole che nell’apparenza mostrano la loro innocuità. Le informazioni contenute nei primi rapporti asseriscono che una volta inviato il segnale di armamento, i dispositivi utilizzati contro il gruppo degli Hezbollah in Libano rientrano nell’articolo 7, paragrafo 2, citato prima e sono pertanto proibiti su tale base.

Si deve prendere nota anche del paragrafo 3 del medesimo articolo in base al quale si statuisce che: «senza pregiudicare le disposizioni dell’articolo 3, è vietato impiegare armi alle quali si applica il presente articolo in città, località, villaggi o in qualsiasi altra zona in cui si trova una concentrazione analoga di popolazione civile, in cui non è in corso né sembra imminente alcun combattimento fra forze terrestri, a meno che: a) queste armi non siano collocate su un obiettivo militare o nelle vicinanze immediate di un simile obiettivo; o b) siano prese misure, quali l’appostamento di sentinelle, la diffusione di avvertimenti o la posa di recinzioni per proteggere le popolazioni civili contro gli effetti di dette armi». Per completare, si dovrebbe anche rammentare altri dispositivi che sono inoltre regolati dal Protocollo II precedente e da quello che hanno subito delle modifiche, allegati alla Convenzione delle Nazioni Unite su certe armi convenzionali (Convention on Certain ConventionalWeapons) e che sono soggetti ai divieti e alle restrizioni, come enunciato nell’articolo 7 del Protocollo II emendato. Questi vengono definiti nel precedente Protocollo II, all’articolo 2, paragrafo 3, come «munizioni e dispositivi installati manualmente progettati per uccidere, ferire o danneggiare e che sono azionati tramite controllo a distanza o automaticamente dopo un lasso di tempo»; mentre nel Protocollo II modificato, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, la definizione di altri dispositivi consiste in «congegni e dispositivi collocati manualmente, compresi i dispositivi esplosivi improvvisati, concepiti per uccidere, ferire o danneggiare e che sono fatti esplodere manualmente, mediante un comando a distanza o automaticamente dopo un certo tempo».

In precedenza, lo scrivente ha avuto modo di utilizzare l’avverbio manualmente che viene concepito per distinguere fra munizioni che vengono piazzate individualmente e direttamente da una persona e quelle che poste meccanicamente. Circa i cercapersone esplosivi vengono adattati per mutarli in una trappola esplosiva del tipo affrontato dall’articolo 7, paragrafo 2, del Protocollo II emendato e su questa base sembrerebbe, considerando quanto è attualmente noto e presunto, essere un’arma illegale.

Un ulteriore fattore dovrebbe essere preso in considerazione, cioè, i resoconti del 18 settembre 2024 che asseriscono che i testimoni oculari hanno osservato del fumo uscire dalle tasche delle vittime. Questo può essere coerente con il fatto che i dispositivi all’interno dei cercapersone, essendo stati armati a distanza, stavano iniziando a detonarsi in risposta a un atto innocente come un disturbo mentre venivano trasportati all’interno della tasca. In merito alle norme che disciplinano le armi, va precisato che gli Stati devono adempiere all’obbligo giuridico di esaminare le nuove armi prima di impiegarle in un conflitto bellico. 

Il principio di distinzione impone alle Parti in conflitto di distinguere fra civili e beni civili, da una parte, e combattenti e obiettivi militari, dall’altro, e di dirigere le loro operazioni militari contro obiettivi di genere militari, ossia, come recita l’articolo 48 del I Protocollo addizionale alle IV Convenzioni di Ginevra in base al quale, «allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari». Sempre il I Protocollo, che riflette lo jus cogens, inibisce gli attacchi indiscriminati, cioè, gli attacchi che non sono diretti contro un obiettivo militare determinato oppure quelli che impiegano metodi o mezzi che sono indiscriminati per natura (ci si riferisce all’articolo 51, paragrafo 4).

Un esempio sono quegli attacchi indiscriminati specificamente, delineato nel I Protocollo addizionale alle IV Convenzioni di Ginevra, sia nell’articolo 51, paragrafo 5, lettera b, in base al quale «saranno considerati indiscriminati, fra gli altri, i seguenti tipi di attacchi: gli attacchi dai quali ci si può attendere che provochino incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di perdite umane e di danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto», sia nell’articolo 57 delineando che «Le operazioni militari saranno condotte curando costantemente di risparmiare la popolazione civile, le persone civili e i beni di carattere civile», che violano la regola del principio di proporzionalità. Tali norme sono poi rese operative da ulteriori sulle precauzioni che gli aggressori devono adottare e, in una certa misura, da disposizioni concernente il principio di precauzione contro gli effetti degli attacchi (articolo 58), ponendo in risalto che gran parte di queste disposizioni di tipo precauzionale riflette lo jus cogens, vincolanti erga omnes (per tutti gli Stati).

Prendere di mira un dispositivo che è noto che la parte avversa al conflitto ha consegnato a persone che sono obiettivi legittimi non sembrerebbe, prima facie, un atto indiscriminato. Il cercapersone se è stato consegnato per scopi militari – per promuovere ad esempio una comunicazione efficace tra comandanti e unità e personale subordinati – può essere classificato come obiettivo militare e, pertanto, come obiettivo legittimo con la conseguenza che attaccare l’oggetto del cercapersone, distruggerlo o danneggiarlo sono attività lecite. Se il bersaglio include le persone a cui sono stati consegnati i cercapersone e se queste sono classificate come combattenti nel conflitto armato interno, allora, ancora una volta, in linea di principio, prendere di mira tali individui sarà legittimo. Tuttavia, se si è a conoscenza che i cercapersone siano in possesso di persone che non possono essere classificate come combattenti, cioè, ad esempio, per il semplice fatto che gli individui in questione ricoprano ruoli diplomatici, politici o amministrativi per Hezbollah e non hanno alcuna funzione connessa al combattimento, tali persone andrebbero inquadrate e classificate come civili che non andrebbero prese di mira.

Una componente che non va trascurata attorno alla questione del principio precauzionale consiste nel fatto che gli aggressori devono adempiere al proprio dovere di essere minuziosi e fare attenzione a non coinvolgere i civili e i loro beni materiali, e questo comporta il dovere di garantire in anticipo che l’attacco sia diretto a un obiettivo legittimo e che la regola relativa al parametro della proporzionalità non rischi di essere violata.

 

Bookreporter Settembre