L’aggressione militare dell’Azerbaijan all’Armenia allarma l’Europa e minaccia la stabilità del Caucaso

14 Settembre 2022
7 mins read

La recente aggressione militare dell’Azerbaigian all’Armenia, repubblica del Caucaso meridionale e Stato sovrano riconosciuto a livello internazionale, preoccupa l’Unione Europea che deve gestire una situazione di crisi la cui escalation potrebbe portare a un conflitto su larga scala nell’intera regione caucasica, minacciare la stabilità dello scacchiere geopolitico euroasiatico e anche la strategia di sicurezza energetica di Bruxelles.

Secondo quanto riportato dal Ministero della difesa della Repubblica di Armenia, il 13 settembre 2022 alle 00:05 ora locale, l’Azerbaijan ha lanciato un’aggressione militare su larga scala in diverse direzioni lungo il confine orientale tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Le forze armate azerbaigiane, utilizzando artiglieria pesante, sistemi di lanciarazzi multipli e droni da combattimento, hanno iniziato a bombardare intensamente le città armene di Goris, Jermuk, Vardenis, Kapan, Sotk e i villaggi vicini. Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato che l’attacco dell’Azerbaigian ha causato la morte di 49 soldati armeni, numero che ad oggi potrebbe essere aumentato e includere anche i civili.

Nella mattinata di ieri Nikol Pashinyan ha avuto un colloquio telefonico con il presidente russo Vladimir Putin per informarlo in merito all’aggressione militare azerbaigiana fornendo dettagli relativi alle operazioni militari che l’Azerbaigian ha condotto utilizzando artiglieria e armi di grosso calibro. Pashinyan ha descritto le azioni dell’Azerbaigian come “inammissibili” e ha sottolineato l’importanza di una corrispondente reazione da parte della comunità internazionale.

Sempre nella giornata di ieri è avvenuto il colloquio telefonico tra il Ministro della Difesa della Repubblica di Armenia, Suren Papikyan, e il Ministro della Difesa della Federazione Russa, Sergei Shoigu. Durante la telefonata il ministro armeno ha informato la controparte russa della situazione causata dall’aggressione militare azerbaigiana contro il territorio sovrano armeno. Al termine della telefonata, Suren Papikyan e Sergei Shoigu hanno deciso di prendere le misure necessarie per stabilizzare la situazione.

Come riportato dal Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Armenia sul suo sito web ufficiale, la parte armena ha richiesto una sessione speciale del Consiglio Permanente della Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) per discutere dell’aggressione militare azerbaigiana. Durante l’incontro il rappresentante della missione permanente dell’Armenia presso la CSTO, Viktor Biyagov, ha informato i membri del Comitato Centrale della CSTO sui recenti eventi ai confini armeno-azerbaigiani. Il portavoce della CSTO, Vladimir Zainetdinov, ha dichiarato che l’organizzazione è contraria all’uso della forza militare ai confini armeno-azerbaigiani e ha sottolineato che la CSTO considera solo metodi politici e diplomatici per risolvere le controversie tra Baku e Yerevan, come è successo il 9 novembre 2020, quando sotto la supervisione russa, il presidente azerbaigiano e il primo ministro armeno hanno firmato il cessate il fuoco che ha posto fine al Conflitto Nagorno-Karabakh.

Pashinyan ha anche telefonato al presidente francese Emmanuel Macron e al segretario di Stato degli Stati Uniti Anthony Blinken. L’ufficio del presidente francese Emmanuel Macron ha informato i media che la Francia avrebbe sollevato la questione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite “sperando che Armenia e Azerbaigian possano raggiungere un cessate il fuoco.”.

Marina Kaljurand, membro del Parlamento europeo e presidente della Delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, ha pubblicato una dichiarazione sul suo account Twitter in cui ha condannato “l’attacco militare su larga scala della scorsa notte dell’Azerbaigian contro molteplici obiettivi nel territorio della Repubblica dell’Armenia…Questa recente aggressione non provocata e ingiustificata contro il territorio sovrano dell’Armenia è l’ennesima violazione flagrante da parte dell’Azerbaijan della Carta delle Nazioni Unite, dell’Atto finale di Helsinki e della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020.”

Sempre nella giornata di ieri durante la sessione del Parlamento Europeo il deputato francese François-Xavier Bellamy ha richiamato all’attenzione i propri colleghi su quanto sta accadendo nel Caucaso meridionale sottolineando che “niente può giustificare l’aggressione criminale dell’Azerbaigian contro l’Armenia. Se agiamo ora, possiamo fermare questa guerra. Lo dobbiamo alla sicurezza dell’Europa, e soprattutto al popolo armeno” e continuando il suo discorso accusando il Governo il Baku di aver violato negli ultimi due anni le regole del diritto internazionale e, grazie al supporto della Turchia, di aver attaccato il Nagorno-Karabakh/Artsakh nel 2020.

Attraverso il sito web ufficiale del Ministero della difesa della Repubblica dell’Azerbaigian Baku ha respinto le accuse dell’Armenia dichiarandole come “assurde”. Infatti, secondo quanto riportato dal ministero azerbaigiano “La notizia diffusa nei media e dai social armeni sull’invasione dell’Azerbaigian nel territorio dell’Armenia è assurda … In risposta alla provocazione su larga scala dell’Armenia, l’esercito azerbaigiano sta implementando contromisure e neutralizzazione dei punti di fuoco.”. 

Fanno da contraltare alle dichiarazioni di Baku le immagini e i video che circolano sui vari social network in cui vengono mostrate case di civili armeni distrutte o colpite dal fuoco dell’artiglieria azerbaigiana, droni turchi in dotazione all’esercito azerbaigiano che colpiscono obiettivi militari armeni, l’artiglieria azerbaigiana che colpisce obiettivi armeni da lunga distanza così come prigionieri armeni catturati dalle forze azerbaigiane.

Armenia e Nagorno-Karabakh/Artsakh nelle mire territoriali dell’Azerbaigian

Negli ultimi anni, e in special modo a seguito dei 44 giorni di conflitto del 2020 che hanno visto l’Azerbaigian attaccare la Repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh preferendo la soluzione militare alla diplomazia, l’Armenia ha espresso continuamente la sua profonda preoccupazione alla comunità internazionale per il deterioramento della situazione della sicurezza nel Nagorno-Karabakh (Artsakh) e lungo il confine della Repubblica d’ Armenia con la Repubblica dell’Azerbaigian. Il Governo di Erevan aveva anche posto l’attenzione sui continui incitamenti all’odio e sulle dichiarazioni degli alti funzionari del Governo azerbaigiano che testimoniavano i preparativi di una rinnovata aggressione da parte dell’Azerbaijan contro l’Armenia e l’Artsakh.

Agli inizi di settembre, mentre il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev era in visita a Roma e veniva accolto trionfalmente dalle più alte autorità italiane come il leader di un paese alleato che avrebbe aiutato l’Italia alla diversificazione delle importazioni del gas naturale, la Turchia, paese membro della NATO, avrebbe inviato diversi voli cargo militari in direzione dell’Azerbaigian che secondo le fonti armene trasportavano attrezzatura e munizioni militari. Sempre all’inizio del mese, dal 5 al 9 settembre 20220, le forze aeree azerbaigiane e turche avevano condotto esercitazioni congiunte in Azerbaijan con lo scopo annunciato di valutare la capacità di “distruzione di obiettivi aerei e terrestri immaginari del nemico“.

Mentre in territorio azerbaigiano giungevano armi e materiale militare dalla Turchia, sempre in Italia il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev dichiarava che in pochi mesi Azerbaigian e Armenia avrebbero potuto firmare un accordo di pace, frase inserita nella promessa di raddoppiare la produzione di gas naturale ed esportarlo in direzione dell’Italia per far fronte alla crisi energetica che il Bel Paese e l’intero continente europeo stanno vivendo.

Se da un lato quanto avvenuto ieri ha creato uno scontro mediatico tra i sostenitori dell’Armenia e dell’Azerbaigian con diversi cittadini europei che chiedono a Bruxelles di imporre sanzioni contro Baku seguendo la logica che un paese aggressore che minaccia l’integrità e sovranità territoriale di un altro Stato debba essere punito per evitare che questo modus operandi diventi la normalità,  dall’altro lato quello che preoccupa maggiormente alcuni politici del Parlamento Europeo e la comunità internazionale è che l’Azerbaigian in questa situazione abbia attaccato direttamente il territorio armeno. Così, se nel 2020 l’aggressione militare al Nagorno-Karabakh/Artsakh e il seguente conflitto di 44 giorni è passato inosservato tra le stanze dei palazzi di Bruxelles e Washington, quanto avvenuto ieri non può essere silenziato, perché il Governo di Baku, non rispettando le tante promesse fatte negli ultimi due anni, ha scelto nuovamente la guerra rispetto alla via della diplomazia decidendo deliberatamente di attaccare uno Stato sovrano minacciandone la sua esistenza.

In questo contesto occorre ricordare che l’Armenia è un paese membro della CSTO e, anche se l’organizzazione si è mostrata molto riluttante a questa eventualità, potrebbe richiedere il supporto militare degli altri paesi membri, tra cui anche la Federazione Russa, essendo sotto attacco da parte di un nemico/forza esterna. Sin dalla sua creazione soltanto nel gennaio del 2022 la CSTO aveva inviato le proprie forze armate in supporto del Governo del Kazakhstan che ne aveva richiesto l’aiuto per sedare le rivolte interne che, secondo quanto riportato dalle autorità kazake, erano state penetrate e animate da agenti stranieri e gruppi terroristici.

Quindi, se l’escalation militare dovesse continuare e l’Armenia vedesse ancor di più minacciata la sua integrità territoriale, la richiesta di Erevan di un intervento militare della CSTO potrebbe divenire realtà comportando un conflitto su scala regionale che includerebbe Russia, Kazakhstan,  Kazakistan, Kirghizistan, e Tagikistan, paesi dell’Asia Centrale che sono partner commerciali fondamentali per l’Azerbaigian e per la sua strategia di trasformare il suo territorio in un hub logistico tra Europa ed Asia.

Europa, democrazia e partner strategici “necessari”

Dopo anni di denunce da parte dell’Armenia e del popolo del Nagorno-Karabakh/Artsakh, sembrerebbe che l’Unione Europea si stia svegliando da un lungo sonno e torpore che aveva portato Bruxelles a legarsi economicamente e commercialmente con un partner definito strategico come l’Azerbaigian, paese dove in realtà vige un regime autoritario e dittatoriale guidato dalla famiglia Aliyev coinvolta in diversi scandali, tra cui non ultimo quello dei Panama Papers.

In questo lungo sonno europeo, e anche italiano, Bruxelles non aveva notato come i principi democratici e le libertà tanto promosse dai paesi europei non abbiano trovato spazio tra i confini di uno Stato inserito al 154° posto nello speciale Indice sulla Libertà di Stampa del 2022 pubblicato da Reporter Without Borders (secondo lo stesso indice l’Armenia sarebbe al 51° posto) e valutato dalla Freedom House come un “regime autoritario”. Una Europa che non si era neanche accorta come l’8 febbraio 2022 il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev aveva approvato una nuova legge sui media che consentiva al Governo di Baku di controllare tutti i mezzi di informazione. E se la libertà di espressione e di stampa limitate e contrastate non fossero state necessarie nelle stanze di Bruxelles per comprendere la realtà dell’Azerbaigian poteva venire in aiuto l’Indice di Corruzione Percepita pubblicato sempre nel 2022 da Transparency International che aveva classificato l’Azerbaigian al 128 ° posto su oltre 180 paesi l’Armenia è al 136° posto) oppure i diversi report e comunicati di  Amnesty International che evidenziavano come all’interno del territorio azerbaigiano continuavano le persecuzioni e le molestie nei confronti degli oppositori del governo, le proteste pacifiche venivano violentemente interrotte e l’autorità centrale continuava a contrastare il lavoro dei difensori dei diritti umani e delle organizzazioni non governative.

Tutto questo avveniva sotto gli occhi dell’Unione Europea e di una Italia sempre più unita a livello commerciale ed energetico con l’Azerbaigian il cui successo militare nel conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 era avvenuto grazie al supporto della Turchia, altro paese a deriva dittatoriale guidato da quel Recep Tayyip Erdogan che il Primo Ministro italiano Mario Draghi aveva definito come un “dittatore di cui abbiamo bisogno” e con il quale l’Italia (e l’Occidente) avrebbero dovuto collaborare per superare le questioni internazionali.

Quindi non deve stupire come le continue collaborazioni con Ilham Aliyev e Recep Tayyip Erdogan, leader definiti come “dittatori utili” all’Europa, abbiamo portato Bruxelles a disinteressarsi delle gravi situazioni e criticità che questi paesi hanno creato nella regione del Caucaso che vedono come epilogo l’attacco alla sovranità territoriale dell’Armenia tramite una aggressione che molti a Erevan percepiscono come l’inizio di un lungo processo di pulizia etnica da collegare con il ben noto Genocidio degli Armeni che molti turchi e azeri continuano a negare.

*Analisi in media partnership con SpecialEurasia.

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