Oltre il neoliberismo: evitare i ‘fenomeni morbosi più svariati’

6 Luglio 2021
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Nei suoi Quaderni dal Carcere, Antonio Gramsci descriveva con queste parole il periodo storico che stava vivendo, ossia gli anni ‘30 del XX Secolo, dove – almeno secondo l’intellettuale sardo – la classe borghese stava perdendo il suo ruolo di classe dirigente e si stava trasformando in classe dominante:

‘La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.’

Le parole di Gramsci descrivono perfettamente qualsiasi periodo di graduale transizione, che può consistere nell’avvicendarsi tra classi sociali, partiti politici, ma soprattutto scuole di pensiero. In effetti, le parole di Gramsci ben delineano l’alternarsi tra teorie diverse (e spesso rivali): un determinato impianto teorico diventa obsoleto, incapace di spiegare la realtà che lo circonda, e tuttavia non si è ancora in presenza di una scuola di pensiero ben articolata che possa soppiantare quella precedente e affermarsi come teoria dominante o mainstream

Questa sembra essere la situazione che sta caratterizzando il dibattito di politica economica degli ultimi anni: la teoria neoliberista che ha guidato gli indirizzi di politica economia a partire dagli anni ‘80 fino ai giorni nostri (contribuendo a disegnare l’architettura istituzionale dell’eurozona), sembra aver perso quella credibilità necessaria per continuare a influenzare i policymaker internazionali. Allo stesso tempo, le teorie economiche opposte a quella neoliberista, favorevoli ad un ruolo più centrale dello Stato in politica economica, ancora non riescono ad affermarsi definitivamente.

E se l’economia è una scienza, e più precisamente una scienza sociale, allora ecco che per orientarci in questa fase di transizione si può far riferimento anche a Thomas Kuhn, e alle sue Fasi della Scienza. Kuhn sostiene infatti che il progresso scientifico procede ciclicamente attraverso l’avvicendarsi di diversi paradigmi, ossia scuole di pensiero.  Quando un paradigma inizia a incontrare ripetutamente anomalie, ovvero eventi che vanno contro il paradigma, allora questo entra in crisi. Come conseguenza della crisi, si creeranno dei paradigmi alternativi fondati sul rifiuto degli schemi precostituiti del paradigma dominante. 

Nella nostra attualità, la crisi del neoliberismo e il conseguente interregno sono ben visibili se si guarda agli ultimi sviluppi di politica economica e in particolare a quelli caratterizzanti la governance dell’eurozona.

In effetti, nella governance economica europea, regole di matrice neoliberista come la rigida disciplina degli aiuti di Stato e il Patto di Stabilità e Crescita, sono state sospese per non ostacolare gli stati membri nel supportare le proprie economie nell’immediato post pandemia. Tuttavia il loro ripristino sembra tutt’altro che scontato. Infatti, se da una parte il vicepresidente della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis, e lo spitzenkandidaten della CDU, Armin Laschet, spingono per un ritorno alle regole fiscali pre-covid (con quest’ultimo che ha dichiarato in riferimento ai paesi della periferia dell’eurozona che ‘la festa è finita’), dall’altro lato economisti come Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, sostengono che sia necessario passare da regole fiscali imperniate su arbitrari valori numerici, ad un approccio di più ampio respiro basato su standard qualitativi che tengano conto della posizione di bilancio dei singoli paesi, delle politiche dei partner europei, così come di quelle delle BCE.

Al tempo stesso, già prima della pandemia, lo European Fiscal Board, l’organo consultivo indipendente della Commissione, nonché la Commissione stessa, avevano evidenziato come il pacchetto composto dal Patto di Stabilità e dal Fiscal Compact avesse fallito nel ridurre i debiti pubblici dell’eurozona e avesse anzi incentivato gli stati membri ad introdurre politiche procicliche (ossia aumentare i deficit in tempi di crescita e viceversa) piuttosto che anticicliche (e cioè mettere il grano in cascina in estate in vista dell’inverno). In pratica le regole fiscali europee, così come sono state disegnate dalla teoria neoliberista, contribuiscono a generare instabilità nell’eurozona, piuttosto che a stabilizzarla. 

Parallelamente alle dinamiche di governance economica europea, anche lo scenario politica internazionale riflette questo interregno tra la teoria neoliberista e qualcosa di nuovo che ancora non riesce ad affermarsi. Se guardiamo all’operato dell’amministrazione Biden in questi suoi primi mesi, ci accorgiamo come si stia perseguendo un’idea di politica economica di stampo keynesiano, con un massiccio stimolo fiscale volto a finanziare gli investimenti pubblici – così come fece Franklin Delano Roosevelt negli anni successivi la Grande Depressione –  e ad appianare le disuguaglianze economiche (con un’idea di welfare state di matrice scandinava). Il pendolo della politica economica d’oltreoceano sembra quindi si stia nuovamente spostando dal laissez-faire liberista ad un ruolo maggiore della mano pubblica, come accadde anche in Europa nei trent’anni successivi al secondo dopoguerra (les Trente glorieuses)

Anche nella terra dell’ordoliberismo, la Germania, qualcosa sembra stia cambiando. I Verdi di Annalena Baerbock, favorevoli ad un massiccio piano di investimenti pubblici a sostegno della transizione ecologica, faranno con ogni probabilità parte del prossimo governo e potranno quindi dettare l’agenda politica che potrebbe dunque allontanarsi dal mantra teuronico del deficit pubblico nullo che tanti danni ha creato alle infrastrutture pubbliche tedesche. Inoltre, nei centri di ricerca e nelle università si sta affermando una nuova generazione di economisti sempre più lontani dal conservatorismo economico incarnato dall’attuale Presidente del Bundestag – ed ex Ministro delle Finanze – Wolfgang Schäuble , e vicini a teorie economiche maggiormente  progressiste.  

E tuttavia il vento del cambiamento non soffia ovunque. In Italia ad esempio le recenti nomine del Premier Draghi dimostrano come la teoria mainstream, il neoliberismo, sia tutt’altro che superata. Infatti, Super Mario Draghi – discepolo di Federico Caffè! – ha scelto come proprio consulente economico Francesco Giavazzi, economista con tendenze liberiste e teorico – insieme ad altri – dell’austerità espansiva (ossia l’idea che tagliando la spesa pubblica, come sanità e istruzione, si possa contribuire alla crescita: chiedere alla Grecia). E la task force governativa incaricata di valutare l’impatto economico degli investimenti pubblici del Recovery Plan è costellata da economisti di matrice neoliberista. 

Siamo dunque ancora nel bel mezzo dell’interregno descritto da Gramsci, dove il neoliberismo – nonostante le anomalie degli ultimi anni (per dirla à la Kuhn) – non cessa di avere sostenitori nelle istituzioni internazionali e nelle università, mentre una nuova teoria economica improntata al ritorno del ruolo statale nella programmazione economica, ancora non riesce ad affermarsi totalmente per via dell’assenza di un impianto metodologico ben definito che possa supportarla.

La speranza è di evitare – durante questo interregno – quei fenomeni morbosi che potrebbero risultare mortiferi, come l’applicazione di ricette economiche superate rispetto alle sfide del nostro periodo storico, e che potrebbero quindi soffocare la ripresa economica piuttosto che rilanciarla. Si deve quindi evitare di fare come i medici di Mozart che – secondo la leggenda – lo avvelenarono col mercurio (largamente utilizzato nella medicina del XV Secolo) per curarlo da una semplice febbre. Esempio di come medicine ripescate dal passato possano essere più pericolose della malattia stessa.

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