La Corea del Sud corre ai ripari contro i cambiamenti climatici

21 Giugno 2021
2 mins read
SEOUL, SOUTH KOREA - MARCH 15: South Korean students participate in a Climate Strike rally on March 15, 2019 in Seoul, South Korea. Students around the world took to the streets on March 15 to protest a lack of climate awareness and demand that elected officials take action on climate change. Inspired by Greta Thunberg, the 16-year-old environmental activist who started skipping school since August 2018 to protest outside Sweden's parliament, school and university students worldwide have followed her lead and shared her alarm and anger. (Photo by Chung Sung-Jun/Getty Images)

Dopo la vittoria elettorale del Partito Democratico della Corea del Sud, il presidente Moon Jae-in ha ridato impulso all’agenda sui cambiamenti climatici, messa in discussione durante il periodo di crisi.

Il presidente ha infatti approvato la politica sui cambiamenti climatici, soprannominata Green New Deal della Corea del Sud, grazie alla fiducia ottenuta dal governo nel mese di marzo.  

Dal nome fortemente evocativo, il “Green New Deal” si ispira alle politiche di lotta al cambiamento climatico dell’Europa e degli Stati Uniti per un’agenda trasformativa verso la sostenibilità ambientale.

Il piano d’azione annunciato dal governo include un investimento su larga scala nelle energie rinnovabili, l’eliminazione graduale delle attività inquinanti e dei finanziamenti sul carbone, una nuova tassa sull’anidride carbonica e un obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Questi obiettivi ambiziosi si scontrano tuttavia con una realtà molto meno affascinante. Il paese infatti è attualmente il nono più grande inquinatore di anidride carbonica al mondo, con emissioni di Co2 pari a 11,98 tonnellate per capita (sulla base di una popolazione di 51.225.308 nel 2019), in aumento dello 0,28 rispetto alle 11,70 tonnellate di CO2 registrate nel 2015. *

Nonostante l’impulso verso un’economia più verde, la Corea del Sud non ha ancora aggiornato i suoi sistemi energetici, che fanno affidamento in grande misura sul carbone per circa il 44 per cento del suo fabbisogno energetico attuale. Il settore delle rinnovabili non nucleari, compresi l’eolico e il solare, è sottosviluppato e ha rappresentato meno del 2% della produzione nel 2018.

Le nuove politiche messe in campo dal governo dovranno dunque confrontarsi con infrastrutture e sistemi di produzione di energia rinnovabile inesistenti o arretrati. Peraltro, anche la normativa alla base delle modifiche nel settore energetico, dovrà essere sviluppata e approfondita.

“Raggiungere questi obiettivi per la Corea del Sud sarà un compito più impegnativo rispetto a molte altre nazioni che hanno avviato già da tempo modifiche simili alla loro produzione di energia”, commenta Melissa Brown, direttore di Energy Finance Studies, presso lo Institute for Energy Economics and Financial Analysis.

Gli obiettivi attuali della Corea del Sud nell’ambito dell’accordo di Parigi si incentrano su una riduzione del 37% delle emissioni entro il 2030. Si tratta però di un impegno considerato “altamente insufficiente” (Climate Action Tracker, un consorzio indipendente che segue l’azione del governo sul clima), se si considera che il paese è il quinto importatore di carbone al mondo e il terzo investitore pubblico nelle centrali a carbone d’oltremare.

Brown afferma che le potenti imprese statali della Corea del Sud – in particolare la Korea Electric Power Corporation (KEPCO), che domina il settore energetico nazionale – non hanno saputo recepire i nuovi trend dei mercati energetici globali, che hanno visto l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e l’accelerazione del ritiro di alcune vecchie centrali a carbone. Le vecchie infrastrutture sudcoreane sono ora a rischio di non essere redditizie o di essere dismesse anticipatamente a causa della diversificazione del mercato.

“Accecate dagli enormi ed entusiasmanti cambiamenti tecnologici, le imprese statali non li hanno saputi adattare alle nuove politiche ambientali, e ora si trovano a dover agire velocemente per non essere lasciate indietro.” continua Brown.

Intanto ad essere davvero cambiato in Asia è la percezione dei pericoli climatici. L’Asia non solo non è la regione del negazionismo climatico, ma le persone che vivono ogni giorno le conseguenze di alte concentrazioni di Co2, si sono espresse calorosamente durante le elezioni per un futuro più pulito e più verde.

Ciò avrebbe incoraggiato l’amministrazione Moon ad intraprendere azioni significative e riformatrici nel settore. Infatti, nonostante i persistenti problemi economici della crisi COVID-19, l’agenda del governo non può più ignorare le richieste dei cittadini, non dopo che un’affluenza record di elettori gli ha conferito una rara maggioranza in parlamento.

*http://www.globalcarbonatlas.org/en/CO2-emissions

Roberta Ciampo è una giornalista freelance con un Master in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ottenuto all’università di Roma La Sapienza.
Ha conseguito un progetto di ricerca post-laurea in Cina in analisi e sviluppo delle politiche economiche volte alla sostenibilità, e ha collaborato con l’università di Aalborg, Danimarca, ad attività di analisi e monitoraggio delle pratiche di sviluppo nei paesi emergenti.
Lavora a stretto contatto con diverse agenzie delle Nazioni Unite, Unione Europea, ONG e istituti di ricerca su temi di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario.

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