Le tensioni in Etiopia rischiano di esplodere in una crisi umanitaria

24 Marzo 2021
4 mins read

L’Etiopia sta attualmente affrontando un conflitto armato nella regione del Tigrè, a nord del paese. Le tensioni, che vedono coinvolti il Fronte di liberazione popolare del Tigrè (TPLF) e il governo centrale dell’Etiopia, sono state scatenate a settembre scorso dall’annuncio del Primo ministro etiope, Abiy Ahmed Ali, del rinvio delle elezioni nazionali a giugno 2021 a causa del coronavirus. Il TPLF, che già da tempo considera il governo centrale come illegittimo, e ritiene che il Primo ministro non abbia più il mandato per prendere decisioni, ha tenuto ugualmente le proprie elezioni a settembre, sfidando il Governo di Abiy. Ciò ha innescato una reazione a catena in cui il governo centrale e il governo del Tigrè, che accusano i reciproci governi di essere illegittimi, hanno dato inizio al conflitto armato.

Nel novembre 2020 sono stati registrati incidenti presso il Comando settentrionale etiope, attribuiti dal governo centrale al TPLF. Ciò ha portato a un contrattacco da parte delle forze di difesa nazionale etiope. La situazione è andata ulteriormente peggiorando quando le forze di sicurezza del TPLF sono state accusate di aver ucciso centinaia di civili (per lo più lavoratori di etnia Amhara) nel massacro di Mai Kadra. Sebbene la leadership del TPLF abbia negato ogni responsabilità dell’accaduto, le forze armate governative si sono spinte nella capitale Macallé, il cuore della regione del Tigrè.

La regione settentrionale del Tigrè è uno dei 10 Stati federali semi-autonomi dell’Etiopia.

Inizialmente suddivisa in 13 province, nel 1996 l’Etiopia ha visto l’entrata in vigore della riforma del sistema amministrativo, in base alla quale il paese veniva riorganizzato in 10 Stati regionali federali suddivisi su base etnica.

La Costituzione attribuisce ampi poteri agli Stati regionali che possono stabilire il proprio governo nei limiti della carta costituzionale. Ogni regione è infatti governata dal Consiglio regionale, che detiene i poteri legislativi ed esecutivi per dirigere gli affari interni della regione. L’articolo 39 della Costituzione etiope concede inoltre il diritto di secessione a tutti gli Stati regionali dell’Etiopia.

Sotto il governo di Abiy, salito al potere nel 2018, i leader del Tigrè si sono lamentati di essere ingiustamente presi di mira nei procedimenti per corruzione, rimossi dalle posizioni di vertice e ampiamente considerati come capri espiatori per i problemi del Paese.

Dall’inizio del conflitto, sono state documentate le atrocità e i crimini di guerra commessi dalle forze etiopi e alleate contro i residenti del Tigrè. Nella notte del 9 novembre, uomini armati hanno attaccato la città di Mai-Kadra, nella zona sud occidentale della regione del Tigré, facendo stragi per le strade a colpi d’ascia e di machete. Secondo i media statali sono stati contati 500 cadaveri. Le vittime erano lavoratori giornalieri di etnia Amhara, che non avevano nessun ruolo nel conflitto in corso nella regione.

I dati sui morti e i feriti sono tuttavia difficili da confermare e le notizie che arrivano dal Tigrè non possono essere verificate in modo indipendente, in quanto il governo di Addis Abeba ha dato l’ordine di impedire l’ingresso nella regione, di bloccare le linee telefoniche e l’accesso a internet. Ma la conferma arriva da Amnesty International che, grazie ad un attento lavoro di comparazione dei dati provenienti da più fonti, ha potuto accertare l’autenticità, la data e il luogo delle foto e dei filmati giunti in suo possesso.

Sebbene le agenzie umanitarie non abbiano accesso alla zona del conflitto, numerosi appelli sono stati lanciati dalle organizzazioni umanitarie affinché tutte le parti in conflitto rispettino il diritto internazionale, garantendo l’accesso degli aiuti nella regione e la protezione dei civili.

Secondo quanto comunicato nei rapporti dell’Associated Press e di Amnesty International, il conflitto ha ucciso centinaia di persone e ha causato migliaia di sfollati nelle ultime settimane. L’ONU ha avvertito che il conflitto potrebbe innescare una crisi umanitaria, sia per l’afflusso di rifugiati che nel frattempo si stanno riversando in Sudan, sia per la crisi alimentare esacerbata dall’incendio dei raccolti da parte delle truppe.

Si stima che almeno 33.000 rifugiati sono già entrati in Sudan, una nazione che già sostiene circa un milione di sfollati da altri paesi africani, e che rischia di essere ulteriormente destabilizzata dai continui flussi migratori. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati in base alle previsioni attuali teme l’arrivo di altre 200.000 persone nei prossimi sei mesi se i combattimenti dovessero continuare.

Funzionari umanitari hanno inoltre avvertito che un numero crescente di persone potrebbe morire di fame nel Tigrè. I combattimenti sono scoppiati sull’orlo del raccolto nella regione prevalentemente agricola e hanno mandato un numero incalcolabile di persone a fuggire dalle proprie case. Testimoni hanno peraltro descritto il saccheggio delle provviste da parte dei soldati eritrei e l’incendio dei raccolti.

L’attuale situazione continua a sollevare preoccupazioni sul fatto che il conflitto potrebbe estendersi a una guerra più ampia, che veda coinvolti anche gli Stati confinanti.

Venerdì il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, in qualità di presidente dell’Unione africana, ha annunciato la nomina di tre ex presidenti per mediare i colloqui per porre fine al conflitto in Etiopia. Ma il governo di Abiy ha rifiutato l’offerta perché vede l’operazione come un’intromissione negli affari interni del paese.

“Non negoziamo con i criminali. Li assicuriamo alla giustizia, non al tavolo delle trattative”, ha detto Mamo Mihretu, assistente senior del Primo ministro Abiy. “I nostri fratelli e sorelle africani avrebbero un ruolo più significativo se esercitassero pressioni sul TPLF affinché si arrendesse”.

Mamo ha affermato inoltre che gli ex leader del Mozambico, della Liberia e del Sud Africa – che arriveranno nel paese nei prossimi giorni – non avranno accesso alla regione del Tigrè a causa delle operazioni militari in corso.

Dopo tali dichiarazioni, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha riportato alla Commissione per gli affari esteri del Parlamento degli Stati Uniti le “violazioni dei diritti umani e atrocità in corso, nonché atti di purificazione etnica” in alcune parti del Tigrè.

Un alto diplomatico etiope mercoledì ha lasciato il suo incarico a Washington per le preoccupazioni sulle atrocità riportate nel Tigrè. Berhane Kidanemariam, che ha servito come vice capo missione presso l’ambasciata etiope a Washington, ha criticato Abiy come un leader spericolato che sta dividendo il suo paese.

“Migliaia di civili sono stati massacrati, centinaia di migliaia sfollati dalle loro case con la forza, infrastrutture civili distrutte sistematicamente”, afferma il comunicato pubblicato su Twitter da Getachew Reda, uno dei leader del Tigrè. “Nonostante il regime di Abiy Ahmed e i suoi alleati abbiano invocato spudoratamente la loro innocenza e promesso di consentire l’accesso alle agenzie umanitarie e alle indagini internazionali sulle accuse, i loro crimini di guerra e atti contro l’umanità sono solo aumentati nelle ultime settimane e giorni”.

 

Roberta Ciampo è una giornalista freelance con un Master in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ottenuto all’università di Roma La Sapienza.
Ha conseguito un progetto di ricerca post-laurea in Cina in analisi e sviluppo delle politiche economiche volte alla sostenibilità, e ha collaborato con l’università di Aalborg, Danimarca, ad attività di analisi e monitoraggio delle pratiche di sviluppo nei paesi emergenti.
Lavora a stretto contatto con diverse agenzie delle Nazioni Unite, Unione Europea, ONG e istituti di ricerca su temi di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario.

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