Lo Yemen protagonista di tre crisi nel mezzo di una guerra civile fuori controllo

14 Marzo 2021
4 mins read

Crisi alimentare, tasso di povertà superiore al 50 per cento, 700mila casi di colera, a cui si aggiunge anche il COVID-19. Il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite prevede che se il conflitto continuerà ancora fino al 2022, il paese potrebbe divenire il più povero al mondo. In realtà, anche prima della guerra e del COVID-19, lo sviluppo economico yemenita era debole. Le cause sono da ricercare nella corruzione dilagante, alti tassi di disoccupazione e un sistema istituzionale incapace di guidare il paese verso la crescita.

La guerra civile ha fatto crollare questo sistema fragile, stremato ancor più da un blocco navale ai porti yemeniti imposto dall’Arabia Saudita e che impedisce il transito delle merci, compresi cibo e medicinali.

Il paese affronta infatti quotidianamente una triplice crisi: politica, economica e umanitaria, l’una strettamente legata all’altra.

La crisi politica è generata da fattori con elementi sia regionali che internazionali. La guerra civile scoppiata nel 2015, e ancora in corso, è la causa principale della pesante situazione in cui versa lo Yemen, ma non l’unica. Ad essa si sono affiancate calamità naturali, emergenze sanitarie e un collasso economico che hanno precipitato il paese nel baratro. Già nel 2016 la dimensione dell’economia yemenita si era dimezzata e il valore della moneta era sceso a un quarto del suo valore iniziale. Peraltro l’assenza di un governo eletto democraticamente non facilita la soluzione della crisi.

La carenza di cibo, acqua potabile, servizi igienici e assistenza sanitaria, nonché la diffusione di massicce epidemie di colera e difterite, hanno gravato sulle condizioni di vita dei civili e privato le famiglie dei bisogni primari. A gennaio 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha segnalato 2.123 casi confermati di COVID-19 nello Yemen e 616 decessi, con un tasso di mortalità del 29%. È stato osservato un notevole calo del numero di casi segnalati, ma gli indicatori suggeriscono che il virus stia continuando a diffondersi. È probabile che i casi segnalati siano sottostimati a causa della limitata capacità di test e difficoltà di accesso ai servizi di cura nonché alla paura di rimanere vittima di uno dei numerosi attacchi alle strutture sanitarie.

Le Nazioni Unite definiscono la crisi umanitaria nello Yemen “la peggiore del mondo”, cosa di cui al-Qaeda non ha mai smesso di trarre vantaggio per espandere il proprio punto d’appoggio nella regione. La situazione è peggiorata quando nel 2017 le forze militari hanno iniziato ad ostacolare la fornitura di beni primari, causando più di centomila decessi a causa della mancanza di cibo, servizi sanitari e infrastrutture.

Mark Lowcock, coordinatore delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, ha dichiarato: “I tassi di malnutrizione sono a livelli record e 400.000 bambini sono gravemente malnutriti, 16 milioni di persone soffrono la fame, di cui 5 milioni sono a un passo dalla carestia”. Ha detto che le questioni inaccettabili di accesso umanitario continuano con le forze Houthi che ritardano regolarmente i convogli di aiuti e molestano regolarmente il personale umanitario.

Inoltre, in un rapporto delle Nazioni Unite è stato dimostrato che sia gli Houthi che le forze della coalizione internazionale hanno violato il diritto internazionale umanitario attaccando obiettivi civili. Ciò include la distruzione, da parte della coalizione, di un ospedale gestito dall’organizzazione Medici Senza Frontiere nel 2015. Tortura, arresti arbitrari e sparizioni forzate sono tra le altre violazioni perpetrate da entrambe le parti.

 

Come e perché nasce il conflitto?

Il conflitto, nato come risposta alla politica repressiva del regime di Saleh (1990-2012), aveva visto gli Houthi trarre vantaggio dalle tensioni politiche e sociali nella capitale yemenita. Con l’esplosione della primavera araba e il massacro dei manifestanti da parte del governo nel marzo 2011, il regime di Saleh si spacca definitivamente.

Si apre allora un periodo di transizione affinché lo Yemen potesse dotarsi di una nuova Costituzione e eleggere un nuovo governo. Dopo tre anni dalla caduta del governo però l’insuccesso delle trattative tradisce le speranze della popolazione, ormai allo stremo sia a causa della crisi economica che alimentare. Ciò diventa l’occasione per le milizie degli Houthi di cavalcare l’ondata di malcontento e legittimare la loro azione politica.

Gli Houthi propongono un governo di unità nazionale in cui questi ultimi sono ai vertici dello Stato, mentre il governo è formato da ministri tecnici, monitorati in base ai progressi raggiunti in ambito economico. Il nuovo governo tecnico, insediatosi nell’ottobre del 2014, non ha però vita facile a causa delle continue intromissioni delle milizie (in qualità di “supervisori”) nelle attività del governo. Nel gennaio 2015, gli Houthi rovesciano definitivamente il governo e ne prendono le redini.

 

Chi sono le parti coinvolte?

Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti

L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi sfruttano la situazione in Yemen per imporre la propria influenza nella Penisola Arabica. Diversamente dagli anni passati, in cui gli Stati del Golfo si affidavano prevalentemente agli Stati Uniti per assicurare la stabilità della regione, ora i leader dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi hanno propri obiettivi strategici in Yemen, tra cui contrastare il controllo dell’Iran sul territorio yemenita.

L’Arabia ha peraltro avviato una campagna militare in Yemen che inasprisce le tensioni. Ciò nonostante, l’amministrazione Trump ha abbracciato la causa saudita e ne difende gli interessi, sostenendo che sia l’Iran il principale responsabile dell’instabilità della regione.

Iran

Contrariamente a quanto sostenuto dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti, molti esperti regionali affermano che l’influenza di Teheran sia invece piuttosto limitata, soprattutto perché iraniani e houthi aderiscono a diverse scuole di islam sciita. In generale, è vero che l’Iran e gli Houthi condividono interessi geopolitici che vedono il dominio saudita e statunitense nella regione come una minaccia, diverse però sono le ragioni alla base di queste posizioni.

Stati Uniti

Sebbene il Congresso degli Stati Uniti sia stato diviso sulla questione, gli Stati Uniti hanno sostenuto la coalizione guidata dai sauditi, così come la Francia, la Germania e il Regno Unito. I loro interessi in Yemen includono la sicurezza dei confini sauditi; passaggio libero nello stretto di Bab al-Mandeb, arteria vitale per il trasporto globale di petrolio; e un governo yemenita stabile che collabori con i programmi antiterrorismo statunitensi. Tuttavia, il clamore per le morti civili nelle campagne aeree della coalizione, che spesso usano armi di fabbricazione statunitense, e il ruolo dell’Arabia Saudita nell’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi nel 2018, hanno indotto gli Stati Uniti e altre potenze occidentali a limitare la vendita di armi e rifornimento di carburante degli aerei della coalizione.

Roberta Ciampo è una giornalista freelance con un Master in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ottenuto all’università di Roma La Sapienza.
Ha conseguito un progetto di ricerca post-laurea in Cina in analisi e sviluppo delle politiche economiche volte alla sostenibilità, e ha collaborato con l’università di Aalborg, Danimarca, ad attività di analisi e monitoraggio delle pratiche di sviluppo nei paesi emergenti.
Lavora a stretto contatto con diverse agenzie delle Nazioni Unite, Unione Europea, ONG e istituti di ricerca su temi di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario.

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