La Francia dei Cedri a un mese dal disastro di Beirut

7 Settembre 2020
4 mins read

E’ passato appena un mese dal 4 agosto 2020, data in cui 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio abbandonate all’interno dell’area portuale di Beirut sono esplose causando un impatto così violento da essere registrato persino dall’isola di Cipro, a circa 240 chilometri dalla capitale del Libano. Il bilancio è disastroso, in termini di vite si contano più di 200 morti e migliaia di feriti, e inoltre, come se non bastasse, l’esplosione dell’area portuale, centro economico della città, ha peggiorato ulteriormente la situazione economica del Paese, ufficialmente in crisi dagli inizi di marzo, quando il premier Diab aveva dichiarato default, ma la cui precarietà ha radici ben più lontane. E da qui nell’arco di questo mese la classe politica ha quindi ceduto alle forti pressioni del popolo libanese, comportando così le dimissioni in blocco del governo alcuni giorni dopo l’esplosione; infatti il 10 agosto lo stesso Hassan Diab, primo ministro in carica da appena sette mesi, ha rassegnato le dimissioni dell’esecutivo di fronte al Presidente Michel Aoun, aggravando ulteriormente l’instabilità del Paese, che oramai non riesce più a garantire ai propri cittadini servizi essenziali come l’alimentazione, una carenza peraltro esacerbata dal disastro che ha distrutto circa l’85% delle scorte nazionali di cereali.

Dal lato della politica estera proprio in quest’ambito si è attivata una corsa per fornire assistenza medica e alimentare che ha come protagonista l’Unione Europea e in primis la Francia; se l’azione dell’Unione si è limitata prevalentemente all’approvvigionamento di aiuti umanitari e stanziamenti pari a 64 milioni di euro, l’attività di supporto che Parigi sta fornendo al Libano è di carattere politico. Il presidente Emmanuel Macron è stato infatti il primo della comunità internazionale a recarsi sul luogo dell’incidente a Beirut e da quel momento a farci ritorno più volte fino all’ultima, il primo settembre, per guidare il Paese verso un punto di svolta. Il Libano è storicamente legato alla Francia poiché in passato è stato posto sotto suo mandato a seguito del dissolvimento dell’Impero Ottomano, e l’Eliseo ancora oggi cura i propri rapporti con questo; nonostante si possa definire una cooperazione dettata dall’affinità storico-culturale che risale al periodo del mandato francese del Grande Libano, poi indipendente dopo la seconda guerra mondiale, l’intervento di Parigi per soccorrere il Paese dei Cedri ha un carattere talmente forte che alcuni definiscono ‘post-coloniale’.
Per capire al meglio l’operato francese in questo mese occorre però partire dall’impianto statale e politico del Libano, basato sul ‘confessionalismo’, sistema per cui l’assegnazione dei vertici statali è divisa tra le confessioni religiose presenti nel Paese; questo particolare sistema è stato affinato per regolare la vita statale ed evitare che i diversi gruppi confessionali possano entrare in conflitto. Di norma sono le tre componenti maggiori a dividersi i poteri dello Stato, ad esempio nell’ultima legislatura il Presidente Aoun, in carica da 4 anni, rappresentava la componente cristiana mentre l’ex premier Diab nonostante non venisse da un passato politico era supportato fortemente da Hezbollah, il partito-milizia sciita.

Nonostante questo impianto statale abbia evitato fratture che in una regione come il Medio Oriente contano e l’abbia anzi trasformato in un paese “modello” di convivenza per gli stati vicini, sembra essere giunto al termine questo contratto sociale, o almeno chi lo rappresenta. Sono tanti i fattori che hanno portato il Libano in crisi, tra i più importanti figurano certamente la guerra civile siriana che per effetto ha portato un flusso imponente di rifugiati, secondo i dati forniti da UNHCR se ne contano oggi più di un milione e mezzo, ma anche il crollo del sistema bancario e l’alto debito pubblico. Beirut ha sempre potuto contare su un sistema bancario forte ma negli ultimi anni i creditori hanno ritirato le proprie riserve dando vita a una vera e propria fuga di capitali, e per un piccolo stato come il Libano che vive essenzialmente di importazioni e servizi questa fuga di capitali ha comportato l’aumento del debito pubblico fino al 170% del proprio PIL.

In questo mese l’azione dell’Eliseo è stata stringente; una volta arrivato a Beirut due giorni dopo il disastro Macron ha dichiarato che si sarebbe impegnato a mediare tra le parti sociali per trovare un nuovo accordo; presto fatto, il 31 agosto le intenzioni dichiarate dal presidente francese si sono concretizzate e il Parlamento libanese ha dato il proprio sostegno a Mustapha Adib per formare un nuovo esecutivo che però, come suggerito da Parigi, vede i partiti tradizionali fuori dalla formazione di governo. A conferma di questo ‘soft power’ francese l’agenzia di stampa Reuters ha riportato in via esclusiva una notizia secondo cui una settimana prima del mandato ad Adib l’Eliseo avrebbe fatto pervenire tramite la propria ambasciata un documento al dimissionario Diab in cui Macron indicava una serie di tematiche e riforme da affrontare il prima possibile, tra cui la formazione di un esecutivo ‘tecnico’. Vengono riportate in questo documento ritenuto informale dalla stessa agenzia soprattutto le riforme necessarie a ricevere gli aiuti economici da parte del Fondo Monetario Internazionale per cui Diab si era prodigato senza ricevere una risposta positiva.

Basta prendere questi dati per capire l’azione di soccorso che la Francia sta offrendo al Libano. Macron in un’intervista ha dichiarato di essere pronto a prestare aiuti economici a condizione che questi siano poi gestiti da persone oneste, e su questo punto emergono molti fattori critici tra cui la presenza consolidata di una realtà che non si può trascurare, ovvero ‘il partito di Dio’ Hezbollah; pesano infatti sul partito sciita le accuse di complicità nell’esplosione di Beirut, quantomeno sulla proprietà del carico di nitrato di ammonio abbandonato nel porto, in quanto è di norma utilizzato dai miliziani per fabbricare gli ordigni esplosivi che vengono poi usati in contesti come la guerra civile in Siria o al confine con Israele. Il segretario del partito Hassan Nasrallah ha raccolto in maniera positiva l’invito alle riforme di Macron ma restano di fondo dei nodi che possono intaccare il virtuosismo francese come Hezbollah stesso, sanzionato come organizzazione terroristica da paesi importanti come il Canada, gli Stati Uniti e la vicina Germania, dove quest’anno a seguito di un’operazione di antiterrorismo sono state arrestate più di 500 persone ritenute affiliate all’organizzazione sciita.

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