Migrati: il caso Sea Watch e Sea Eye

11 Gennaio 2019
3 mins read

“Tra due ore sbarchiamo, è finita”: così un volontario della nave Sea Watch3 ha annunciato la fine della lunghissima impasse iniziata il 22 dicembre, che ha coinvolto gli Stati europei nell’ennesimo tentativo di trovare una soluzione alla questione dei flussi migratori. I 49 migranti a bordo delle due navi delle ONG tedesche Sea Watch e Sea Eye sono sbarcati a Malta. La notizia dello sbarco è stata data mercoledì 9 gennaio dal primo ministro di Malta, Joseph Muscat, durante una conferenza stampa.

“L’Unione europea rilascia i suoi 49 ostaggi” ha dichiarato Sea Watch dopo la notizia del via libera allo sbarco “Grazie alla società civile che è stata con noi in questi giorni”. L’ONG ha poi aggiunto che la politica non dovrebbe essere fatta “sulla pelle dei bisognosi”.

La nave “Sea Watch 3”, battente bandiera olandese, con a bordo 32 persone, tra cui 3 minori non accompagnati, soccorse al largo delle coste libiche, si trovava in mare da 19 giorni, mentre la “Professor Albrecht Penck” della Sea Eye, con 17 persone, da 11 giorni. 19 e 11 giorni di stallo.

Il 22 dicembre, nelle ore successive al soccorso, il comandante della nave “Sea Watch 3” ha richiesto di poter attraccare nei rispettivi porti a molti Stati europei, vale a dire Italia, Malta, Spagna, Grecia, nonché alla Tunisia. Tuttavia, l’appello ha ricevuto una risposta negativa. Il 29 dicembre, la“Professor Albrecht Penck” dell’ONG Sea Eye, dopo aver soccorso le 17 persone al largo del Paese nordafricano, si è  rifiutata di consegnarle alla Guardia costiera libica, affermando che si sarebbe trattato di una violazione delle norme internazionali.

Tra dichiarazioni di disponibilità e solidarietà da parte di alcuni sindaci di Germania, Italia e Paesi Bassi, nessuna autorizzazione ufficiale ad attraccare, contatti tra Bruxelles ed i governi europei e la chiusura di questi ultimi, la questione è stata bloccata a lungo senza registrare possibilità di soluzioni immediate. Il 2 gennaio Malta aveva concesso alle due navi l’autorizzazione ad entrare nelle sue acque territoriali, senza permettere lo sbarco, a causa delle condizioni meteo avverse ed in vista di un ulteriore peggioramento. Il 6 gennaio anche il Papa ha lanciato un appello per trovare una soluzione in tempi stretti, chiamando in causa il diritto internazionale ed i diritti fondamentali.

Le condizioni dei migranti erano piuttosto complicate, le due ONG avevano da giorni comunicato che a bordo vi erano bambini in difficoltà dovute alla dura traversata, al clima ed ai traumi dovuti alla permanenza nei campi di detenzione in Libia. In aggiunta le condizioni della nave e dunque degli spazi a disposizione risultavano precari.

Nei giorni precedenti alla soluzione dell’impasse si era intensificato il dialogo tra gli Stati europei per sbloccare la situazione di stallo nel Mediterraneo e Malta aveva dichiarato che nelle ore successive si sarebbe registrata una svolta.

Durante la conferenza stampa, Muscat ha dato il via libera allo sbarco sull’isola mediante una nave della Marina Militare maltese, chiedendo alle due navi di lasciare le acque territoriali immediatamente dopo il trasferimento dei migranti. Il primo ministro ha riferito che l’accordo è stato raggiunto grazie all’Unione Europea e che 8 Stati europei, Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Italia accoglieranno i 49 migranti che si trovavano a bordo delle navi delle due ONG tedesche, nonché i 200 salvati nei giorni precedenti da motovedette delle forze armate de La Valletta.

“Ogni ora che passava senza una soluzione non era un’ora di cui andavo orgoglioso” ha dichiarato Muscat, precisando che la soluzione non è stata trovata dall’Unione Europea, bensì dall’intesa multilaterale tra gli Stati che hanno deciso di farsi carico delle persone, intesa in cui l’UE ha ovviamente avuto un ruolo di mediazione. Egli ha poi ringraziato pubblicamente Jean Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea.

“Sono felice che i nostri sforzi abbiano prodotto risultati” ha commentato Dimitris Avramopoulos, Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, pur sostenendo l’impossibilità di dar luogo di volta in volta a scontri politici e di “continuare a fare affidamento su soluzioni disorganizzate e ad hoc: siamo pronti a lavorare per mettere in piedi disposizioni temporanee per gli sbarchi finché non verrà adottato il nuovo regolamento di Dublino”. Gli sforzi della Commissione sono da tempo tesi a trovare una soluzione definitiva condivisa, vale a dire un meccanismo automatico di redistribuzione dei migranti a prescindere dal porto di sbarco, riscontrando non poche difficoltà nel mediare le posizioni dei 27 Stati membri.

Il tentativo di trovare una soluzione concreta al traffico di esseri umani è stato centrale anche nel vertice bilaterale tra Muscat ed il premier libico Al Serraji. Consapevole che la Libia non può ad oggi essere considerata un porto sicuro, Muscat ha affermato “Dobbiamo trovare accordi per la sicurezza di tutti i Paesi del Mediterraneo e parlare di come i migranti vengono trattati nel vostro Paese”, appello al quale il premier libico ha risposto dichiarando “Siamo disponibili al dialogo ma dobbiamo valutare tutto passo dopo passo, abbiamo grossi problemi di stabilità politica”.

Il caso della Sea Watch e della Sea Eye, dunque, pone ancora una volta la questione dell’immigrazione in posizione preminente nell’ambito di tutte le agende politiche europee, auspicando un impegno unitario volto a giungere ad una posizione definitiva e condivisa, con il fine ultimo di salvaguardare i diritti fondamentali dell’uomo ed in primis il diritto alla vita in mare.

 

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