Libia: Serraj dichiara lo stato d’emergenza

3 Settembre 2018
2 mins read
Libya's UN-backed Prime Minister-designate, Fayez al-Sarraj, flanked by members of the presidential council, speaks during a press conference on March 30, 2016 in the capital Tripoli. Fayez al-Sarraj arrived in Tripoli following months of mounting international pressure for the country's warring sides to allow him to start work. / AFP / STRINGER

Nel febbraio 2011 assistemmo alle cosiddette “Primavere arabe” che con sé portarono le notizie delle manifestazioni contro Gheddafi. In quei momenti turbolenti si assistette alla defezione dell’esercito a Bengasi e alla morte di molti civili e di uomini delle forze libiche. All’epoca il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) prevedeva l’imminente caduta del governo, la successiva fuga dei civili verso l’Italia o malta e riportava che la popolazione ad est delle Libia era particolarmente inferocita. Vi era un clima di sfiducia generale e gli schieramenti in campo vedevano gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra spingere per un intervento armato mentre l’Italia cercava di mantenere un atteggiamento più ambiguo in virtù dei pesanti interessi nella zona. Tra questi quella che si poteva muovere più liberamente era la Francia poiché i propri interessi energetici, rappresentati dalla Total, erano meno vasti rispetto a quelli italiani, rappresentati dall’ENI. Vari report Statunitensi riportavano la voce che Gheddafi aveva spostato 143 tonnellate d’oro che sarebbero serviti per la moneta panafricana in sostituzione del franco francese nelle nazioni francofone. Questa voce non trovò mai una conferma e il solo fatto di essere riportata segnala il clima generale di sfiducia. L’interesse della Clinton, oltre che a dimostrare la forza degli USA nello scenario internazionale, consisteva nel poter portare a casa una vittoria in vista di future elezioni. Mentre a sostegno dell’intervento della Gran Bretagna vi era il ricordo della strage di Lockerbie dove morirono 270 persone  e che si scopri nel 1991 essere stato eseguito per conto del governo libico. Gli USA però vedevano molte criticità nel nostro paese sia per la vicinanza a Gheddafi che per i consistenti interessi economici. Gli USA vedevano delle criticità nel nostro paese per la vicinanza a Gheddafi e per gli interessi commerciali mentre il primo a muoversi fu la Francia del presidente Sarkozy. Alla base dell’intervento vi erano molti interessi di politica interna delle nazioni in campo e ciò portò a una estate di sangue che vide la fine in diretta di un dittatore.

     Tutto questo ha portato a un periodo di caos che a 7 anni dalla caduta del regime di Gheddafi vede Tripoli bruciare e il governo di Serraj dichiarare lo stato di emergenza. La Libia è profondamente segnata dalla sua natura tribale e il comando del colonnello Gheddafi prevedeva la prevalenza della propria tribù a scapito delle altre. In questo caso la confederazione tribale favorita era orientata geograficamente sulla Tripolitania, contro il fronte tribale della Cirenaica a est (la distinzione è assolutamente indicativa). La regione a est è importantissima per quanto riguarda lo scacchiere energetico in quanto è dove sono situate la maggior parte delle risorse petrolifere e gasifere libiche. È importante anche per il fattore agricolo in quanto il World food programme per il dopo Gheddafi aveva previsto assistenza in questa zona. La forte identità tribale porta instabilità e la guerra ha fatto cadere l’equilibrio tribale a cui i vertici dello stato c’era Gheddafi e ha fatto sorgere diversi centri di potere. Prima l’equilibrio era assicurato da un vincolo di fedeltà tra diversi capi tribù verso Gheddafi grazie ad aspetti economici e coercizione.

   Ad oggi la missione UNSMIL richiede il cessate il fuoco e sulla base delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza invita a mediare tra le varie parti libiche per trovare un accordo. Il presidente libico Serraj ha deciso di chiedere aiuto alla milizia di Misurata e alle forze antiterrorismo per proteggere il suo governo mentre circa 400 tra detenuti e migranti sono evasi dopo una rivolta nel centro di detenzione di Ain Zara, in un sobborgo meridionale della capitale libica. In campo vi è la Settima Brigata che si è resa autonoma dal Governo di accordo nazionale di Sarraj e ha attaccato le altre milizie armate, accusate di corruzione. A fronteggiarla sono una serie di brigate che formano unità speciali dei ministeri dell’Interno e della Difesa del governo di Sarraj: le Brigate Rivoluzionarie di Tripoli, la Forza speciale di Dissuasione (Rada), la Brigata Abu Selim e la Brigata Nawasi, che ricevono finanziamenti dall’Ue. Recentemente il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha prolungato l’embargo sulle armi poiché questi gruppi continuano a combattere e gettare caos nel paese ma paesi come la Russia, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto forniscono supporto militare e di altro tipo all’Lna.

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