L’Iran, gli iraniani e il regime

5 Gennaio 2018
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epa02583307 Iranian demonstrators clash with Iranian riot-police during a demonstration in Tehran, Iran, 14 February 2010. The opposition reported that tear gas had been fired near Tehran's University and Azadi Square in the west of the city after protesters broke their initial silence and, shouting 'death to dictator', called for Iranian leaders to be toppled like their Arab counterparts. The Azadi, or 'Freedom', Square was the final stop for the protesters, who are hoping to turn it into the Iranian version of Cairo's Tahrir Square - the focal point of the Egyptian public demonstrations that led to former president Hosni Mubarak's resignation. NOTE: FOLLOWING AN OFFICIAL BAN ON FOREIGN MEDIA OUTLETS COVERING DEMONSTRATIONS IN IRAN, EPA IS OBLIGED TO USE PICTURES FROM OTHER SOURCES, AND CANNOT VERIFY ITS AUTHENTICITY EPA/STRINGER

Le nuove manifestazioni in Iran sono iniziate il 28 dicembre a Mashhad; potevano iniziare da  qualsiasi altra città e in qualsiasi altra data. In verità il malcontento diffuso nasce dopo pochi mesi dall’insediamento del regime teocratico in Iran. Le manifestazioni di protesta, a carissimo prezzo, ci sono state in molte città iraniane e, negli ultimi mesi, si sono estese per motivi economici. Chi conosce l’Iran, i suoi antichi e orgogliosi abitanti e il suo innaturale regime da decenni al potere, non è stato certo colto di sorpresa. Quando nel febbraio 79 Khomeini conquistò, con la complicità dell’Occidente, la leadership della rivoluzione democratica degli iraniani contro lo sciah, dopo poche settimane di luna di miele ci fu uno scollamento tra la popolazione e il regime. Infatti la nascita del famigerato Corpo dei pasdaran, con lo scopo  di difendere la Repubblica islamica per statuto, risale proprio al maggio 1979. Negli anni 80, oltre le catastrofiche vicende della guerra Iran-Iraq, il regime per mantenersi al potere dovette spedire al patibolo decine di migliaia di dissidenti. Terminata la guerra nel 1988, e soprattutto dopo la morte del fondatore della teocrazia iraniana Khomeini, 3 giugno 1989, con un paese economicamente e socialmente al tracollo, partì il fantomatico balletto dei “moderati” vs “oltranzisti”. Il “moderato” Rafsanjani aprì le porte alle privatizzazioni del patrimonio del paese, consegnandolo in sostanza ai pasdaran e ai suoi familiari e amici. In seguito, dal 2005 con “l’oltranzista” Ahmadinejad la porta fu spalancata ai pasdaran, che già facevano un corpo unico con il vero detentore del potere della teocrazia iraniana la guida suprema Ali Khamenei, in modo da monopolizzare la ricchezza. Insomma il Paese, il suo patrimonio e soprattutto la sua gente furono in balia dell’incapacità endemica degli uomini di regime e della loro insaziabile avidità. Ogni cenno di protesta popolare è stato represso nel sangue, come quello della metà degli anni 80 a Mashhad, Ghazvin, Arak e altre città, come quello degli studenti universitari del 99, e soprattutto la fiumana di protesta nel 2009. Il regime dittatoriale religioso non ammette l’opposizione. Gli screzi tra le fazioni del regime, per accaparrarsi fette di potere e coglierne vantaggi, non hanno nulla a che vedere con i bisogni della gente e non hanno mai rappresentato le sue reali istanze democratiche.

Le proteste del 28 dicembre 2017 di Mashhad, città santa per gli sciiti, si sono allargate in altre città della regione di Khorasan, terra natale di Khamenei, e da lì a tutto il Paese, oltre novanta città e almeno 30 caduti e migliaia di manifestanti arrestati. La rivolta è partita sì contro l’insopportabile carovita, ma subito s’è trasformata in una rivolta dalle istanze politiche tra cui il cambio radicale di tutto il regime. Chi cerca di addossare la paternità del movimento ai pasdaran e perfino a Ahmadinejad o è uno sprovveduto o interessato, mente e sa di mentire. Khamenei blatera il consueto ritornello che le manifestazioni sono opera del nemico straniero. Si vuole camuffare l’evidenza: il desiderio di un popolo che da oltre un secolo si batte per la libertà, che non ha mai accettato il regime religioso, perché questo non può dargli quello che non ha, cioè la libertà. Quando nel primissimo Novecento in Persia la monarchia al potere sconfisse il Movimento dei costituzionalisti a Teheran e in altre città, solo nella città di Tabriz il coraggioso Sattar Khan resisteva strenuamente con meno di venti uomini. Allora il console russo gli propose di issare la bandiera russa sulla sua dimora per aver “salva la vita”. L’orgoglioso combattente rispose:  “Generale console, io voglio che sette bandiere si sottomettano alla bandiera dell’Iran. Non andrò mai sotto la bandiera straniera”. Da lì a poco Sattar Khan arriva trionfalmente a Teheran. Era il 1908, altri tempi, ma gli uomini e le donne combattenti dell’Iran sono quelli e la loro dignità è quella. Nella rivolta in atto in Iran additare i patrioti al soldo del nemico straniero è fuorviante oltre che ridicolo. Io stesso che scrivo da tanti anni sull’Iran, potrei rivendicare il diritto d’autore per le posizioni prese in questi giorni dai vari membri dello establishment statunitense. Si tratta di giuste e sacrosante rivendicazioni di un popolo dalla grande dignità. L’espansione del “forte” regime iraniano è segno della debolezza altrui, dove la responsabilità dei governi occidentali è enorme. Bush gli ha regalato L’Iraq e Obama la Siria, ma alla fine i mullà devono fare i conti con gli iraniani in Iran. L’asse Afghanistan – Iraq – Siria – Libano per arrivare ad avere il fiato sul collo di Israele è solo una direttrice lungo la quale scaricare le tensioni interne; gli iraniani con la loro cultura millenaria non hanno mai sopportato il regime liberticida. Il regime iraniano “dona” almeno un miliardo di dollari all’anno ad Hezbollah libanese, e negli ultimi sei anni ha speso da dieci a quindici miliardi all’anno per mantenere il macellaio di Damasco. Ecco dove è andato il denaro scongelato dall’accordo nucleare, col quale Rouhani prometteva il miglioramento della situazione economica della popolazione, compreso un miliardo di dollari in contanti spedito da Obama a Teheran con un aereo militare. Oggi il 70% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Moltissimi giovani, spesso laureati, sono disoccupati, e la disoccupazione in alcune zone del paese tocca il 60%. Il regime religioso iraniano fomenta e diffonde odio nel Paese e nella Regione, e questo è in netto contratto con lo spirito dei persiani.

Il regime teocratico al potere da 39 anni non può e né vuole concedere alcuno spazio al popolo. Da qui la sua feroce oppressione e, quando non basta, le sue calunnie. Le istituzioni in Iran, talvolta dalle sembianze democratiche, sono del tutto prive di democrazia. Sotto la pressione interna il regime ha dovuto da subito inventare dei nemici. Morte all’America e morte ad Israele sono strumenti logori con cui cerca di resistere ad un popolo che ha altri progetti, non certo un governo religioso guidato dai corrotti. La rivolta contro un siffatto regime è un dovere sacrosanto.

Questa rivolta è del tutto diversa da quella del 2009. È estesa in un centinaio città, da nord a sud, da est a ovest. I manifestanti appartengono al ceto meno abbiente e molti di loro sono giovani confinati ai margini della vita economica del paese. L’età media degli arrestati è meno di venticinque anni. Soprattutto la rivolta è del tutto autonoma dalle fazioni del regime. Questa rivolta è un corpo estraneo ed antagonista al regime di cui chiede la fine.

Un altro cambiamento significativo è il contesto internazionale mutato. Nel 2009 mentre la gente veniva repressa a sangue a Teheran, il presidente Barack Obama sembrava che stesse a guardare con indifferenza. Dopo s’è saputo che appoggiava Ali Khamenei scrivendogli ripetute lettere di conciliazione. Ora l’Amministrazione statunitense, cominciando da Donald Trump,  ed altri politici americani hanno appoggiato la lotta degli iraniani. Perfino John Kerry fa autocritica di aver sottovalutato la situazione interna dell’Iran e Hillary Clinton spende parole in favore dei manifestanti. I paesi europei, l’Unione Europea e perfino l’Italia, anche se con toni conservativi, hanno difeso il diritto dei manifestanti e hanno “invitato” il regime iraniano a rispettare il loro diritto a manifestare. Non è superfluo ribadire che l’Iran sarà liberato dagli iraniani e da nessun altro; che la stabilità del Paese, visti questi anni, avverrà solo con il cambio del regime; che la stabilità dell’Iran contribuisce in misura determinante alla stabilità della Regione. Per queste ragioni e non solo dobbiamo sostenere la lotta degli iraniani per la libertà e la democrazia che, nonostante le brutali repressioni, mai cesserà. Il capo dei pasdaran  Jahfari può ancora una volta dichiarare che la rivolta è rientrata e la stampa internazionale fargli eco, ma tutti sanno che non è così.  Quando i Diritti fondamentali di un popolo vengono calpestati, quando la dignità di donne e uomini di una terra viene ignorata, allora  l’insurrezione diviene per il popolo il più sacro dei diritti e il più necessario dei doveri e merita il sostegno di ogni uomo libero dovunque si trovi.

 

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