La Francia al bivio, tra Il tecnocrate europeista e La “pasionaria” sovranista

3 Maggio 2017
5 mins read

Dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, che si è svolto domenica 23 aprile, è sembrato emergere un temporaneo rallentamento dell’ascesa di Marine Le Pen, da molti temuta e da altri – ma molti di meno – auspicata.     Si è attestata tra il 21 e il 22% e, considerando la mancanza di alleati e la chiusura, nei suoi confronti, dei concorrenti “caduti” al primo turno, un incremento di consensi tale da portarla alla vittoria al secondo sembra un obiettivo di difficile realizzazione.

Benché i sondaggi di queste ultime due settimane abbiano, in certe fasi, registrato una crescita di consenso più rapida di quella di Macron, la forbice a favore di quest’ultimo sembra tuttora piuttosto ampia.     Ma le diffuse preoccupazioni in ordine alla sicurezza, alle migrazioni, al terrorismo internazionale, la delusione verso la governance europea rivestono un peso che non deve essere sottovalutato.

E occorre inoltre considerare le incognite legate al disimpegno sulla candidatura Macron da parte di Mélenchon, candidato al primo turno del movimento di sinistra “La France Insoumise”.     A chi andranno quei voti, circa il 20 % ?   La stessa astensione, secondo autorevoli osservatori, giova soprattutto all’appassionata Marine.

La corsa di Macron all’Eliseo ha colto, comunque, una congiuntura favorevole, segnata dal declino dei maggiori partiti e dalla tendenza della classe politica tradizionale a fare quadrato, a tutti i costi, per impedire la vittoria della destra “sovranista” di Marine Le Pen, arrivata, come era prevedibile, al ballottaggio.   L’aspettativa per la vittoria di Macron si è così consolidata, dopo il primo turno.   Già in ambito internazionale, gli ambienti politici cominciano ad interrogarsi sulla possibile reiterazione, negli altri contesti nazionali, di un modello analogo a quello realizzato in Francia dal giovane tecnocrate e outsider e dal suo nuovo movimento denominato “En Marche !”.     Soprattutto in Italia, in cui le incognite su equilibri, alleanze e identità stentano a trovare soluzione, sembra si sia scatenata la caccia per individuare, nel confuso scenario contingente, il possibile “nuovo Macron” !

Il fondatore e leader di “En Marche !” è un tecnocrate, un manager che è stato chiamato, in virtù delle sue competenze e delle qualificate esperienze professionali, a rivestire l’incarico di Ministro dell’Economia nel secondo governo Valls e che ha lasciato il Partito Socialista, ancora maggioritario nel Parlamento uscente, ma in condizioni di rapido declino, come ha dimostrato il risultato di Hamon – e la stessa rinuncia a ricandidarsi del Presidente Hollande, inconsueta nella storia della Quinta Repubblica, dopo un solo mandato – e ha fondato lo scorso anno un nuovo movimento, dall’identità ancora un po’ vaga e incerta, ma in grado di suscitare interesse e fiducia in una parte crescente di elettorato, ormai stanco dello schema di contrapposizione tradizionale socialisti-gollisti, ma spaventato dalla possibile alternativa lepenista.

En Marche! ha assunto una connotazione di centro, centrosinistra, che non disdegna tuttavia il dialogo con il centrodestra, tanto che Fillon, candidato appunto del centrodestra (“Les Républicains”, di matrice gollista) al primo turno, subito dopo si è affrettato ad invitare i suoi elettori a sostenere Macron nel ballottaggio.   E altrettanto ha fatto Hamon, candidato socialista.   Ma i sondaggi registrano anche possibili defezioni, tra gli elettori di Fillon e Hamon, rispetto ai richiami dei due leaders in favore di Macron.   Defezioni tendenti all’astensione, o addirittura all’opzione Le Pen (questo, in misura maggiore, è stato riscontrato nell’area di centrodestra).

La convergenza di Fillon e Hamon su Macron è dovuta soprattutto all’esigenza di arginare le possibilità di vittoria di Marine Le Pen, ma forse si può ritenere agevolata proprio da quella sorta di equidistanza che l’identità non ancora ben delineata, o comunque fuori dagli schemi, del nuovo movimento, fondato dall’ex ministro dell’Economia, sembra evidenziare rispetto alle due forze che fino ad ora si sono contese la guida della Quinta Repubblica.

Macron è un convinto europeista e ritiene che la globalizzazione possa costituire un’opportunità, non una minaccia per l’economia francese.     Intende innovare e moralizzare il confronto politico nel suo paese e superare lo schema destra-sinistra, secondo nuove interpretazioni delle sfide che investono il nostro tempo.     Si pone nell’alveo progressista, ma non appare neppure troppo lontano dalle posizioni neogolliste, tanto che Fillon non ha manifestato un particolare imbarazzo, assicurandogli il proprio sostegno.

Che possa essere questo, forte proprio di tale pragmatismo post ideologico, il segreto del successo conseguito dall’ex banchiere ed ex ispettore delle finanze, già consigliere di Hollande e ministro socialista e rappresentare quindi la ricetta per affrontare la crisi dei partiti tradizionali di governo anche in altri paesi d’Europa, arginando, con realismo e concretezza, scevra di tentazioni demagogiche, la crescita dei cosiddetti populismi antieuropei e sovranisti ?   Fenomeni questi, efficaci quando assecondano e stimolano paure e diffidenze diffuse nell’opinione pubblica, ma più carenti nella progettualità e nell’individuazione di soluzioni alternative alle politiche che contestano.

La ricetta Macron, considerando l’appoggio incassato dal repubblicano Fillon e dal socialista Hamon, dovrebbe ritenersi orientata, in caso di vittoria nelle presidenziali, a privilegiare comunque il dialogo con quelli che sono stati finora i due maggiori partiti, o comunque con uno dei due.   Questo dialogo si renderà necessario, perché difficilmente il “giovane” movimento di Macron, anche a seguito dell’eventuale elezione alla Presidenza del suo leader, potrà ottenere, nelle successive elezioni legislative di giugno, una maggioranza autosufficiente nell’Assemblea Nazionale.

Il sistema semipresidenziale vigente nella Quinta Repubblica francese richiede la creazione di un rapporto fiduciario tra l’Assemblea Nazionale e il Governo, costituito da un Primo Ministro e dai ministri che saranno nominati dal nuovo Presidente.   Sempre nell’ipotesi di elezione di Macron alla Presidenza, il suo movimento, pur traendo certamente un sensibile beneficio da questa vittoria nelle elezioni dell’Assemblea Nazionale, potrebbe scontare, in quell’occasione, lo scarso radicamento territoriale dovuto al suo recentissimo esordio sulla scena politica.

Parlamentari uscenti e dirigenti di lungo corso dei due partiti che si sono, per oltre mezzo secolo, contesi il governo della Quinta Repubblica potrebbero dare filo da torcere, nei singoli collegi, ai neofiti seguaci di Macron e riscattare, in quella fase, l’insuccesso dei rispettivi candidati – Fillon e Hamon – alla Presidenza.

Dunque, in questa prospettiva, Macron, per evitare il rischio di una sostanziale ingovernabilità, dovrebbe sviluppare affinità e convergenze con i partiti tradizionali, finalizzate non soltanto all’esigenza di contrastare l’estrema destra lepenista, ma anche ad una condivisione programmatica, senza la quale non si può realizzare una coalizione di governo. Difficile poi prevedere, al momento, se le convergenze dovranno ricercarsi con i repubblicani o con i socialisti, o forse con entrambi, nell’eventuale prospettiva di Grande Coalizione che potrebbe costituire, peraltro, la direttrice della politica europea dei prossimi anni, spostandosi gradualmente il confronto, dallo schema popolari-socialisti a quello sovranisti-europeisti (potrebbe essere il caso della Germania, dopo le prossime elezioni politiche, forse anche dell’Italia,… chissà !?…ipotesi “futuribili”, indotte tuttavia da una evidente crisi di rappresentatività delle “categorie” politiche cui da tempo ci eravamo assuefatti).

Ancor più critico apparirebbe il quadro, in caso di vittoria, nel ballottaggio, di Marine Le Pen, perché poi, nelle elezioni legislative, potrebbe ottenere ancor meno seggi parlamentari.   Un partito isolato, come il Front National, non è molto competitivo, con il sistema a doppio turno e avrebbe ancor meno possibilità di quelle di Macron di ottenere una maggioranza nell’Assemblea Nazionale, anzi, in genere stenta ad ottenere una sia pur minima rappresentanza.   Con l’elezione della sua leader alla Presidenza della Repubblica si verificherebbe forse un effetto trascinamento, ma difficilmente potrebbe conseguire una forza parlamentare, in grado di reggere da sola le sorti del governo.   Ne potrebbe derivare il ricorso alla “coabitazione” tra la nuova Presidente e un Primo Ministro del tutto eterogeneo e politicamente ostile, con riflessi assai problematici, per la navigazione governativa.

Un quadro, dunque, incerto, per il futuro istituzionale di questa grande potenza europea, un futuro che ora è affidato alla scelta del popolo sovrano che si pronuncerà domenica 7 maggio.

Alessandro Forlani

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