Il Venezuela verso il referedum revocatorio

18 Giugno 2016
4 mins read

La crisi economica, politica e sociale del Venezuela si è acuita considerevolmente negli ultimi mesi. L’esasperazione della popolazione che fa i conti tutti i giorni con la scarsità di prodotti alimentari, beni di prima necessità e con un’inflazione che ha raggiunto il 180%, è ormai giunta al culmine. Tutto il Paese è in attesa dell’evento di partecipazione democratica che sembra prospettare un cambiamento di rotta: il referendum revocatorio sul mandato presidenziale di Nicolás Maduro, promosso dall’opposizione lo scorso aprile.

Il Presidente Nicolás Maduro vinse le elezioni nell’aprile 2013, sull’onda di commozione che attraversava il Paese per la recente morte di Hugo Chávez, avvenuta il 5 marzo dello stesso anno. Maduro, pur essendo stato indicato come auspicabile successore da Chávez, non ha mostrato lo stesso carisma del suo predecessore. Se nel 2013 vinse le elezioni ottenendo il 50,61% dei voti, contro un 49,12% del candidato dell’opposizione Capriles Radonski, da quel momento il consenso attorno alla sua figura non ha fatto che sgretolarsi lentamente.Il segno più evidente di tale perdita di consenso, oltre alle numerose manifestazioni dell’opposizione, sono state senza dubbio le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale tenutesi lo scorso 6 dicembre. In tale occasione l’opposizione riunita nel MUD (Mesa de Unidad Democrática) ha ottenuto 109 seggi su un totale di 167.

La Costituzione venezuelana, che è stata riscritta nel 1999 sotto la presidenza Chávez, prevede, all’articolo 72, la possibilità di sottoporre ad un referendum revocatorio qualsiasi carica pubblica elettiva una volta trascorsa metà del mandato. Per questa ragione, ad aprile l’opposizione venezuelana ha sottoposto al Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) la richiesta per indire un referendum sulla permanenza in carica del Presidente Maduro. La procedura per organizzare il referendum secondo la legge venezuelana si articola in 4 fasi: la prima consiste nel sottoporre la richiesta al CNE. La seconda fase consiste nel raccogliere le firme dell’1% degli iscritti al registro elettorale di tutto il Paese (197.978 firme) e consegnarla al CNE il quale procede a verificare la validità di tali firme. Il 10 giugno scorso la Presidente del CNE, Tibisay Lucena, ha reso pubblici i risultati del processo di convalida delle più di 1 milione e 900 mila firme presentate dall’opposizione. Sono state ritenute invalide circa 605 mila firme (sostenendo che si tratta di firme ripetute più volte o nominativi riferiti a persone decedute), permettendo comunque all’opposizione di ottenere la convalida di un milione e 352 mila firme (a fronte delle 197.978 richieste). Questo ha permesso al CNE di passare alla terza fase che avrà luogo dal 20 giugno al 26 luglio prossimo e che prevederà la raccolta di almeno il 20% delle firme degli iscritti ai registri elettorali (si tratta di un minimo di circa 3 milioni e 900 mila firme). Una volta completata anche tale fase, potrà essere fissata la data per il referendum revocatorio. Il referendum potrà dunque decretare la fine anticipata del mandato presidenziale se voteranno per la revoca un numero di elettori almeno uguale a coloro che nel 2013 votarono per l’elezione di Maduro.

Nel frattempo la tensione è elevata ed il rischio di scontri tra chavistas e opposizione nel Paese è concreto, tanto che la Presidente del CNE ha invitato le forze politiche a non intraprendere nessun atto di violenza, pena la sospensione del processo di convalida della richiesta referendaria.

L’instabilità del Paese è causata in primo luogo dalla crisi economica provocata dal basso prezzo del petrolio a livello internazionale, il quale rappresenta la principale fonte di sostentamento per l’economia venezuelana. Il Venezuela possiede secondo le stime dell’OPEC le maggiori riserve di petrolio a livello internazionale ed è tra i primi dieci Paesi produttori nel settore. Tuttavia, il Paese non è riuscito a trarre sufficientemente profitto da questa risorsa. Le opposte fazioni politiche si incolpano l’un l’altra della situazione di emergenza in cui versa il Paese. Da un lato l’opposizione ritiene che la crisi sia dovuta alla cattiva gestione del Partito socialista Unito del Venezuela al governo ormai da 17 anni, dall’altro il governo incolpa le élites economiche del Pase di aver volontariamente interrotto la produzione di alcuni beni per far collassare il governo ed indurre la popolazione a preferire un cambio di regime. A tale proposito, Maduro ha spesso parlato nei sui discorsi di una “guerra economica” messa a punto dalle élites locali con il sostegno degli Stati Uniti. Ad aggravare la crisi si è inoltre aggiunto il fenomeno del Niño, una siccità che ha ridotto il funzionamento delle principali centrali idroelettriche del Paese (da cui dipende circa il 70% delle forniture energetiche del Paese). Ciò ha costretto il governo ad imporre un risparmio energetico a tutto il Paese, riducendo per esempio l’orario di lavoro dei dipendenti pubblici.

La prima necessità del Venezuela è oggi ritrovare un clima di conciliazione, un compromesso per il bene collettivo, superare la violenta e cieca opposizione tra sostenitori di forze politiche opposte e sostenere insieme le misure per risolvere i problemi di base del Venezuela: la criminalità, la forte disuguaglianza tra classi sociali, la carenza di servizi pubblici di qualità accessibili a tutti (istruzione e sanità) e la corruzione. La creazione di una classe media più numerosa, attenuando le differenze economiche sociali e culturali tra la popolazione, non solo andrebbe a risolvere il primo ed il secondo problema, ma creerebbe anche le condizioni per attenuare il clima di polarizzazione e violenza nelle posizioni politiche. Infine, dal punto di vista economico una redistribuzione della ricchezza a sostegno della classe media favorirebbe un incremento dei consumi, delle piccole attività imprenditoriali e dunque sosterrebbe la ripresa economica di un Paese che si trova all’orlo del collasso.

Ad oggi il governo di Maduro ha perso il sostegno della maggioranza della popolazione venezuelana e se l’insoddisfazione generale della popolazione non troverà espressione nel referendum revocatorio, vi è il rischio di una sollevazione popolare simile a quella già avvenuta nel 1989 (Il “Caracazo”). Il probabile successo del referendum revocatorio apre dunque la strada al ritorno dell’opposizione al governo dopo 17 anni di chavismo, ma lascia aperte le ferite di un popolo socialmente diviso in blocchi contrapposti. La vera sfida consisterà nel riuscire a sanare questa ferita aperta da tempi immemori.

di Elena Saroni

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