Le implicazioni politiche del caso Navalny coinvolgono la Corte di Strasburgo

19 Febbraio 2021
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Sin dall’estate scorsa il panorama internazionale è stato monopolizzato dal caso Navalny che ha drammaticamente peggiorato le relazioni russo-europee portando le parti sulla strada dello scontro e ai livelli sperimentati nel 2014 a seguito della Crisi Ucraina.

In questa settimana ad inasprire i rapporti e la percezione che la Russia ha nei confronti del contesto europeo è stata l’attività di un organismo indipendente come la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) di Strasburgo che ha richiesto al Cremlino l’immediata scarcerazione di Alexei Navalny, perché preoccupata per la vita del blogger russo. La risposta russa è arrivata mercoledì 18 febbraio tramite le parole del ministro della giustizia Konstantin Chuychenko che ha definito l’azione della Corte di Strasburgo ‘illegale’ e una ‘ingerenza’ nel sistema giudiziario nazionale, basata su informazioni false e volta a imporre alla Russia una ‘misura provvisoria’ che non rispetta il normale svolgimento dei processi russi superando a sua volta il concetto di democrazia, perché permetterebbe a Navalny di essere liberato senza un regolare processo.

Oltre a fare una distinzione tra Navalny e il resto dei cittadini russi, la richiesta della CEDU si scontra con la Costituzione della Federazione Russa nella quale è stabilito che la legge federale nazionale non possa essere prevaricata dagli accordi internazionali. La richiesta di scarcerazione da parte della Corte di Strasburgo, che ricordiamo è un organismo indipendente e non sottoposto all’autorità dell’Unione Europea, sembra ricalcare però in maniera quasi speculare le posizioni espresse da Bruxelles negli ultimi tempi e voler anche accelerare la liberazione di Navalny prima del 20 febbraio 2021, data dell’esame del ricorso della sentenza che potrà trasformare la pena da sospesa in effettiva.

Considerando gli ultimi eventi e guardando al contesto geopolitico internazionale l’azione della Corte di Strasburgo sembra quindi non essere un caso isolato o l’operato di un organismo indipendente, ma sembrerebbe far parte di una strategia più complessa e articolata elaborata per screditare la Russia e supportare quella comunicazione strategica che ha interessato il Cremlino nell’ultimo anno inasprendosi maggiormente dalla scorsa estate quando il Governo russo ha annunciato al mondo la produzione di un vaccino per contrastare il Covid-19. Risulta quindi difficile non leggere quanto avvenuto nei giorni scorsi a Strasburgo come un tentativo da parte di alcuni paesi europei di riportare all’attenzione mediatica il caso Navalny considerando che le manifestazioni del 23 e 31 gennaio 2021 non hanno sortito i risultati sperati e innescato un tentativo di ‘Rivoluzione colorata’ in Russia così come la richiesta di partecipazione popolare alla manifestazione antigovernativa prevista per lo scorso 2 febbraio è rimasta disattesa.

È inoltre singolare vedere come quanto affermato dalla CEDU porti il caso Navalny a un livello di scontro con la Russia già sperimentato in passato nel caso, ad esempio, dei Giochi Olimpici invernali di Sochi 2014 o dei Mondiali di Calcio FIFA 2018 in cui l’elemento catalizzatore è stato quello dei diritti umani e della democrazia. Fatto singolare, perché colpisce la Russia, che ricordiamo è un membro della Corte di Strasburgo come anche la Turchia (membro della NATO), paese che non ha mai subito lo stesso trattamento riservato al Governo russo anche se sin dal fallito golpe del 2016 Ankara ha avviato una dura campagna repressiva ai danni dei giornalisti e degli oppositori politici. Controllando lo storico dei casi sottoposti alla CEDU in cui si accusava la Turchia di detenzione illegale e abuso di potere nonché privazione dei diritti umani risulta molto strano il fatto che nessuno a Strasburgo si sia mai mobilitato in modo da allarmare i media internazionali o da imporre un ultimatum al Governo turco, metodo che ricalca la politica dei doppi standard di cui spesso l’Occidente è stato accusato.

Ripercorrendo quanto avvenuto dall’agosto 2020 in merito al caso Navalny si evidenzia un ruolo preponderante della Germania nella veste di antagonista della Russia proprio nel momento in cui il gasdotto Nord Stream-2 dovrebbe raggiungere il suo completamento favorendo così le esportazioni russe di gas naturale in direzione europea. Era stata infatti proprio la Germania ad ospitare il blogger russo dopo il suo ricovero in ospedale riportando ai media internazionali l’avvelenamento di Alexei Navalny e sempre la Germania era stata protagonista, insieme a Svezia e Polonia, durante le proteste definite da Mosca ‘illegali’ organizzate lo scorso gennaio contro l’arresto del blogger russo alla quale avevano preso parte alcuni suoi diplomatici. Secondo quanto riportato nella giornata di ieri da Maria Zakharova, portavoce del ministero degli affari esteri russo, ci sarebbe sempre Berlino dietro il video pubblicato dal gruppo di Navalny in cui si accusava il presidente russo Vladimir Putin di aver fatto realizzare un palazzo super lussuoso sulle rive del Mar Nero.

Questi eventi sembrano avvicinare il caso Navalny al progetto Nord Stream-2 considerando anche le recenti dichiarazioni del ministro francese per gli affari europei Clement Beaune che ha richiesto l’abbandono tedesco del gasdotto come risposta alla detenzione del blogger russo. Parole del ministro francese seguite da quelle dell’addetto stampa della Casa Bianca Jen Psaki espresse lo scorso 16 febbraio nella quali si sottolineava la volontà dell’Amministrazione Biden di monitorare il gasdotto Nord Stream-2 e la possibilità di imposizioni di sanzioni ai danni delle compagnie impegnate nel progetto.

Considerando gli eventi e facendo fede alle posizioni espresse da Francia e Stati Uniti e condivise in linea generale dai principali governi europei è possibile ascrivere il caso Navalny all’interno dello scontro tra Russia e Occidente che da molti analisti è stato definito come ‘Nuova Guerra Fredda’ in cui il vero vincitore risulterebbe essere Washington. Infatti, come sostiene Pedro Baños, colonello riservista dell’esercito spagnolo che ha ricoperto il ruolo di responsabile della Sicurezza e dei Servizi di Intelligence degli Eurocorps a Strasburgo, nel suo libro Cosi si controlla il mondo. I meccanismi segreti del potere globale, gli Stati Uniti si sono sempre adoperati per favorire lo scontro tra l’Unione Europea e la Russia temendo che una loro alleanza o cooperazione potesse renderle un attore geopolitico troppo forte da contrastare. Così fin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e dopo l’elezione di Putin come presidente, con conseguente ripresa economica della Russia e ascesa nello scacchiere internazionale, Washington ha cercato di ostacolare la collaborazione tra Bruxelles e Mosca. Se in passato era stata il conflitto russo-georgiano del 2008 o la Crisi Ucraina del 2014 a minare le relazioni russo-europee, dall’estate del 2020 è possibile considerare Navalny come l’ennesimo tentativo di interrompere i rapporti Mosca-Bruxelles e frazionare il mercato energetico euroasiatico favorendo così l’attività delle compagnie statunitensi.

Parlando della narrativa mediatica di Bruxelles incentrata sulla figura di Navalny come oppositore politico in lotta contro il Governo russo di Putin si deve evidenziare che questa rischia di trovare un riscontro minimo se si considera il sostegno altalenante o scarso che il blogger politico ha in patria: le posizioni nazionaliste e xenofobe del blogger russo non hanno infatti favorito la sua popolarità nelle regioni in cui vivono le minoranze etniche e religiose (ad esempio nel Caucaso del Nord le proteste avvenute a Mosca non hanno avuto popolarità a livello locale) mentre per il resto della popolazione russa è stato l’atteggiamento di Navalny durante il processo in tribunale a deludere maggiormente. Il blogger russo, visto prima come un uomo carismatico etichettato dai media occidentali come ‘l’anti-Putin’, è stato invece accusato da molti cittadini russi di non aver rispettato la storia e la cultura della nazione quando ha espresso parole diffamatorie contro Ignat Artemenko, veterano della Seconda Guerra Mondiale, e quando ha sarcasticamente commentato l’operato del pubblico ministero e del giudice (entrambe donne) durante il processo.  A seguito di questi eventi e per evitare un ritorno di immagine negativo sembrerebbe che gli stessi avvocati di Navalny hanno richiesto al tribunale di non far entrare i media nell’aula e di non filmare il processo.

In conclusione, si può affermare che l’azione della Corte di Strasburgo ha riportato in auge il caso Navalny a livello mediatico, almeno in questi giorni. Qualora neanche l’operato della CEDU produrrà i risultati sperati, concependo quanto avvenuto a Strasburgo come una strategia più complessa e articolata di contrasto al Cremlino, il prossimo step potrebbe essere quello dell’ulteriore imposizione delle sanzioni ai danni della Russia così come espresso dalla nuova Amministrazione statunitense di Biden le cui ripercussioni potrebbero riguardare il settore energetico del gas naturale, in special modo il Nord Stream-2, e la distribuzione del vaccino russo Sputnik V. 

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